Jhumpa Lahiri, vestale della lingua italiana. Quando i libri e la lettura ti salvano la vita

Mila Tenaglia (February 17, 2016)
Il racconto di un amore sconfinato per la lingua italiana, l’irrazionale esigenza e la volontà di addentrarsi dentro i toni e i colori di una cultura che non è la propria. “In other words”, il nuovo libro della scrittrice bengalese, vincitrice del Pulitzer, Jhumpa Lahiri, è stato presentato all’Istituto di Cultura Italiana. Nella conversazione con il direttore Giorgio Van Straten e la traduttrice Ann Goldstein, Jumpa Lahiri ripercorre il suo viaggio interiore e artistico di “Quando i libri e la lettura ti salvano la vita”. E per tutti è come entrare magicamente dentro un inaspettato e straordinario diario...


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“Visto che io provo a decifrare tutto tramite la scrittura, forse scrivere in italiano è semplicemente il mio modo per apprendere la lingua nel modo più profondo, più stimolante”.

Comincia cosi, con queste parole, il direttore dell’Istituto Italiano di cultura Giorgio Van Straten la presentazione del libro In other Words di Jhumpa Lahiri e aggiunge subito: “Ci tengo a sottolineare che l’evento sarà in italiano, perchè e proprio di questo che si parlerà questa sera: della relazione e dell’amore verso la lingua italiana”.
 

L’audience, composta da accademici, traduttori, giornalisti ma anche semplici lettori, rimane da subito rapita da ogni singola parola pronunciata da Jhumpa Lahiri.

Anche chi ascolta in contemporanea la voce del traduttore simultaneo, con il libro in mano,  è palesemente conquistato dal suono delle parole e dal volto luminoso ma anche molto serio di Jhumpa Lahiri. Come in una lunga ipnosi.
 

In other words, è la metafora di vita della scrittrice bengalese, è una sfida con se stessa su un colpo di fulmine, un amore che non si può spiegare: quello verso la lingua italiana. “Io vivo una continua contraddizione, una irrazionalita' che non posso definire." 

"Il mio è semplicemente un bisogno travolgente di far parte di questa lingua in tutte le sfumature possibili. Questo libro è una prova, una testimonianza di raffigurare questo desiderio di appartenenza” racconta al sempre piu' folto pubblico dell’Istituto di Cultura italiano, Jhumpa Lahiri. La sala è gremita.
 

Come vivere in una terra di mezzo, questo confine linguistico è doloroso e velato ma anche necessario per la sua scrittura. Da una parte c’è la lingua di origine e della sua infanzia, il bengali, poi la lingua dei suoi studi, degli inizi del suo scrivere, l’inglese, e poi l’Italiano.
 

Viene lecito chiedersi: perchè proprio una lingua latina? Perchè  voler scrivere in un idioma che non è quello ormai universalmente usato come l’inglese. “Roma è la città che ha confermato il mio rapporto con queste tre lingue e l’italiano mi ha insegnato la libertà e la felicità in cui questa lingua mi fa sentire più leggiera nella vita. La città eterna mi ha fatto sentire per la prima volta a casa.  Sento un senso di appartenenza, di rinascita che non ho avuto in nessun altra città”.

E’ una custode delle parole Jhumpa Lahiri e ama proteggerle. Come una vestale in un tempio sacro. Sarà perchè è cresciuta con un padre bibliotecario, nel tempio dei libri. E racconta come certo questo ha avuto un grande impatto nella sua vita legata alla letteratura. “Poi tutto il resto è  un casino” ride, “ma questa è la vita”.

Il tema della libertà è un’altro tema affrontato soprattutto sul versante della traduzione: quanto è importante rimanere fedeli al testo di partenza quando si traduce?

Ann Goldstein - la traduttrice dei libri di un altro fenomeno letterario molto apprezzato in America, Elena Ferrante - racconta al pubblico di come il mercato editoriale statunitense stia cambiando, “Ci sono altre lingue e altre culture che questo paese deve conoscere. E’ fondamentale cercare di restituire la stessa passione della lingua di partenza anche se non è facile”.

“Io non voglio ascoltare il tribunale” dice con ironia tagliente Jhumpa Lahiri “voglio sentirmi libera di esprimermi come voglio” e ricorda le parole del capitolo L'impossibilità : “Se fosse possibile colmare la distanza tra me e l’italiano smetterei di scrivere in questa lingua”.
 

Il direttore della Casa Italiana Zerilli-Marimò, Stefano Albertini,  è seduto nel pubblico accanto a noi. Appare anche lui visibilmente commosso da queste parole: “Per lavoro ho a che fare con la lingua italiana tutti i giorni, ma sentire che per qualcuno può diventare una storia di amore è meraviglioso, è pura poesia”, ci dice.
 

“In altre parole”...  è nella distanza, la differenza,  la forza di una scrittrice che sta ancora scoprendo se stessa in bilico tra la metafora della fuga e il significato di appartenenza ad un paese come l’Italia.
 

La conversazione con Jhumpa Lahiri fa parte di un ciclo di incontri con cui  l’istituto italiano di cultura sta promuovendo gli scrittori stranieri legati all’Italia.

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