Articles by: Monica Straniero

  • Arte e Cultura

    Al Festival di Cannes in concorso "Tre Piani" di Nanni Moretti.

    Tre Piani è una parabola della nostra società, un film su quella "grande bugia" che noi stessi avevamo creduto e che la pandemia ha svelato: la nostra tendenza a condurre vite isolate, ad alienarci da una comunità che non solo  non vediamo più, ma di cui pensiamo anche di poter fare a meno."Affronta temi universali come la colpa, le conseguenze delle nostre scelte, la giustizia, la  responsabilità dell’essere genitori -  dice il regista.

    Sorridente ed energico, felice dell'accoglienza ricevuta ieri sera all'anteprima del film, Moretti ha ribadito che per lui "il cinema è indispensabile", come regista, produttore, attore o proprietario di un cinema, ma "ancora di più come spettatore. "Non so come starei se non potessi andare al cinema a vedere un film dopo l'altro. Ho la stessa curiosità di vedere i film degli altri che avevo 40 o 50 anni fa", ha aggiunto.

    I protagonisti del film sono nomi importanti del cinema italiano: Margherita Buy, Riccardo Scamarcio, Alba Rohrwacher, Adriano Giannini, Elena Lietti, Denise Tantucci e Alessandro Sperduti. "Tutti loro interpretano  personaggi, fragili e spaventati, sono mossi da paure e ossessioni, e spesso  finiscono per compiere azioni estreme. Eppure le loro motivazioni emotive e sentimentali sono sempre  comprensibili", ha raccontato Moretti. Mentre nel libro le storie si interrompono nel momento più alto della crisi, il film va oltre per indagare le conseguenze delle scelte compiute dai personaggi, vedere  le ripercussioni che le loro azioni hanno sulla loro vita e su quella dei loro cari".

    Per Nanni Moretti il film arriva in un momento cruciale per la società. "Si parla molto di cosa lasceremo ai nostri figli in termini ecologici, si parla poco di cosa  lasceremo loro in termini etici e morali. Ogni gesto che noi compiamo anche nell’intimità delle nostre case  ha conseguenze che si ripercuoteranno sulle generazioni future. Di questo ognuno di noi deve essere  consapevole e responsabile: le nostre azioni sono quello che noi lasciamo in eredità a chi viene dopo di noi".  

     

  • Arte e Cultura

    Quel rapporto burrascoso tra due poliziotti

    Protagonista del film d’apertura della prima edizione del Festival del Cinema Tedesco, Felix Kramer ha risposto ad alcune domande. Free CountryIl film, diretto da Christian Alvart, arricchisce il desolato materiale poliziesco-drammatico con uno sfondo politico. Siamo nel 1992, pochi mesi dopo la caduta del muro di Berlino, con una Germania recentemente riunificata che lotta per ritrovare una propria identità nazionale. Il governo spedisce due detective fuori città: il cerebrale Patrick Stein (Trystan Pütter) dall'ovest, e il brutale Markus Bach (Felix Kramer,  dall'est, per indagare la scomparsa di due adolescenti in una piccola città industriale al confine con la Polonia.

    Sia in Dogs of Berlin che in Free Country, entrambi diretti da Christian Alvert, interpreti un detective della Germania dell'est. E' una scelta casuale?

    Quando ho letto la sceneggiatura di ho compreso che si trattava di due personaggi diversi. Markus in Free Country è in un momento cruciale della propria vita con i suoi scheletri nell'armadio. E' un uomo tormentato dallo  stress del lavoro, dalla corruzione dei superiori e dalle cose mostruose che ha fatto con il suo lavoro da sicario nel blocco orientale. E' corpulento bevitore dalla lingua lunga. Non è una storia di uomini buoni che combattono male, ma di personaggi decisamente antieroici che cercano di uscire dal decadimento morale che il loro paese fatica a riconciliare. 

    Cosa hai amato di più del tuo personaggio?

    Markus non si fa scrupoli a ricorrere alle tecniche di persuasione della Stasi, la più temuta ed efficiente polizia segreta del mondo, per costringere le persone a confessare. A differenza del suo collega Patrick che disapprova le pratiche rozze e illegali di Markus, questi si prende gioco del comportamento da boy scout del primo. Sono letteralmente uno stereotipo del poliziotto buono/poliziotto cattivo. Ho amato questo dualismo tra bene e il male  che convive in ognuno di noi

    Il rapporto  burrascoso tra i due pliziotti sembra una metafora di antiche divisioni tra le due parti della Germania cha ancora non sembrano essersi rimarginate

    Esattamente. Markus desidera potersi lasciare alle spalle gli anni trascorsi a terrorizzare dissidenti e aiutare  questa comunità che nè pronta ad abbracciare pienamente la sua nuova libertà come non lo è lui. L'evoluzione personale di entrambi i personaggi è una metafora di chi sono e della Germania divisa da cui provengono. Il motivo per cui due ragazze sono scomparse e il modo in cui l'autore ha finora eluso la cattura sono saldamente radicate nei cambiamenti geopolitici che si verificano intorno a loro. Patrick e Markus sono gravati dalla vergogna, proprio come il loro paese. A più di trent'anni dalla riunificazione tocca parlare ancora di muri, non fatti di cemento e mattoni come quello che tagliava Berlino a metà ma che ne sono una specie di propaggine immateriale.E tuttavia rimane molta diffidenza reciproca, e molta insoddisfazione.

    Il film ha inaugurato la prima edizione a Roma del Festival del cinema tedesco. Sei la star di a celebre serie tv di Netflix Dark hanno fatto conoscere il cinema tedesco al grande pubblico. Cosa ne pensi di questo seuccesso?

    Una nuova generazione di registe e registi sta facendo tendenza nel nostro cinema da sempre stato venerato nel mondo per la sua storia, per il cinema di Weimar e per personaggi come Rainer Werner Fassbinder e Wim Wenders, ma raramente è stato davvero amato. Film come Free Country, Dogs of Berlin e la serie Dark e molti altri si sono rivelati un colpo di fortuna per il cinema tedesco sotto molti punti di vista, riuscendo anche a scalzare l’immagine di un cinema unicamente destinato a un pubblico di nicchia. I nuovi film mostrano, al di là di eccessivi stereotipi, su cosa significhi essere nato in Germania, e arricchendo così il cinema tedesco di nuove tematiche. Ora più che mai si ha bisogno di cambiare lo sguardo e gettare il cuore oltre l'ostacolo per risollevare un settore che ha sofferto molto a causa di una pandemia che ci ha costretti tutti a casa.

     
     
     
     
  • Fatti e Storie

    Alfredino, una storia italiana

    La storia di Alfredino appartiene alla memoria di tutti gli italiani, anche quelli che non l’hanno vissuta. Alfredino , una storia italiana si ispira ai sui fatti di Vermicino.Sono passati quarant’anni dall’incidente nel quale morì Alfredo Rampi, un bambino di sei anni caduto in pozzo artesiano che per tre giorni mezza Italia fece di tutto per salvare

    Una miniserie in quattro puntate prodotto da Marco Belardi per Lotus Production,  in onda lunedì 21 giugno su Sky Cinema e in streaming su Now, è il primo docudrama tv sulla vicenda."L'obiettivo non è quello di riportare la cronaca di quei terribili giorni, rivela il regista Marco Pontecorvo, 

    La foto in bianco e nero di quel bambino sorridente, con una canottiera a righe, i suoi lamenti, il battito sempre più flebile del suo cuoricino sono impressi nell’immaginario collettivo dei 21 milioni di telespettatori che quaranta anni fa seguirono in diretta tv la vicenda notte e giorno, col fiato sospeso.

    Alfredino mostra la sensibilità di non far vedere mai il bimbo nel pozzo. "Abbiamo, infatti, scelto di non indugiare sugli aspetti più tragici della vicenda - tiene a precisare il regista -  privilegiando al contrario l’abnegazione, la determinazione e la speranza che spinsero le persone coinvolte a dare tutto ciò che avevano per un obiettivo comune. Dietro l'esigenza di raccontare un fatto che trasformò una notizia di cronaca nel primo grande evento mediatico nazionale in tempo reale, è quello di creare uno spazio di riflessione sulla quello che è diventato il primo caso di tv del dolore"

    Anna Foglietta riesce  a incarnare perfettamente Franca Rampi, donna di incredibile forza, che riportò al Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, i tanti perché della tragica fine di suo figlio: senza puntare il dito, senza accusare nessuno, Franca elencò con lucidità le tante, troppe falle nella macchina dei soccorsi. Una casalinga disse al Presidente cosa non aveva funzionato e il Presidente la ascoltò.

    Dopo questo sfogo nacque e venne organizzata in Italia la Protezione Civile, quel complesso apparato che entra in azione ogni qualvolta si verifichi un evento catastrofico nel nostro territorio: da un terremoto a un’alluvione, dal crollo di un ponte alla pandemia di questi giorni. 

    La miniserie è l'occasione per tutti gli italiani di riconciliarsi con questa storia, raccogliendo tutti insieme i frutti nati da quell’evento doloroso. Perché c’è sempre un rovescio della medaglia, ed è quello a cui tutti noi dobbiamo guardare. Per andare avanti. 
  • Arte e Cultura

    Once Upon a Time…

  • Arte e Cultura

    Comedians, il lato oscuro della comicità

     

    Gabriele Salvatores torna al cinema con un film sul senso della comicità e lo fa in un periodo in cui far ridere è . Parliamo di Comedians, in uscita il 10 giugno nelle sale italiane con 01 Distribution. "Avrei dovuto girare un film in costume , ma troppo complicatp in tempi di pandemia", ha commentato il regista premio Oscar con mediterraneo.

    "Mi sentivo e mi sento responsabile per le persone con cui lavoro. Allora ho provato a pensare a un film più contenuto nei personaggi e nei luoghi, qualcosa che venisse dal teatro. E un testo che ho amato e che a teatro aveva avuto molto successo lo avevo: Comedians! Così ho proposto a Griffiths di ada,arlo per il grande schermo, e lui con grande entusiasmo mi ha risposto: “Go ahead with all speed. You'll do it well. Cioè vai a tu,a birra, andrai bene.”

    Scritto nei primi anni sessanta dal rammaturgo inglese Trevor Griffiths, l’opera debutto il 20 febbraio 1975 al Nocngham Playhouse, e da lì girò il mondo. Nel 1985 Gabriele Salvatores lo portò al Teatro dell’Elfo di Milano con un cast di giovani attori tra cui  Paolo Rossi, Silvio Orlando, Claudio Bisio.

    "A quei tempi, eravamo giovani alla ricerca del successo, spericolati, anarchici, irregolari e affamati di successo. Nelle nostre mani il testo si trasformò in un contenitore per una sarabanda di gags e batture  comiche, a volte improvvisate sul palco, come nel Jazz.
    Oggi, rileggendolo, il testo di Griffiths mi mostra il  ‘dark side of the moon’, il lato più malinconico. 

    Sei aspiranti comici stanchi della mediocrità delle loro vite, al termine di un corso serale di stand-up comedy si preparano ad affrontare la prima esibizione in un club. Tra il pubblico c'è anche un esaminatore, che sceglierà uno di loro per un programma televisivo.

    Il regista decide di rimanere fedele all testo originale perchè l'opera  di Trevor Griffith non è divertente. Si ride delle battute mal assortite, inopportune e mal preparate ma dietro si cela la disperazione di uomini che cercano pateticamente di elevarsi al di sopra della loro posizione.

    La vicenda si svolge in una triste e squallida aula pubblica in una notte molto piovosa che diventa l'immagine di fondo della vita quotidina dei lavoratori della classe operaia  per spostrarsi in un altrettanto squallido music club dove gli stessi uomini si scontrano con la realtà delle loro esistenze. Quidi si infrange il tentativo di sfuggire a vite che sono a tutti gli effetti una routine.

    Un adattamento teatrale che pur risalendo al 1976, è molto attuale. Ancora oggi il testo mette in discussione l’uso di stereotipi e dei pregiudizi per far ridere o per rimuovere un problema. "La comicità è una cosa seria, e oggi rispetto agli anni settanta, rischia di soccombere al politicamente corretto". L’obiezione principale è quella che intacchi la libertà di espressione, una forma di ipocrisia, insomma. Per Salvatores è una questione di equilibrio tra buon gusto e offesa. "Il confine è sottilissimo e va considerato, ma  certe cose siamo andati un po' oltre. E' veramente ridicolo pensare che oggi sui set di Hollywood ci sia la presenza del Gender Manager".

    Se per Salvatores, Comedians è un'occasione per fermarsi un attimo su cosa vuole dire il concetto di comicità e di politicamente corretto o scorretto, basterebbe ricordare che alcune parole hanno una storia che non può essere ignorata, che alcune cose non fanno più ridere o potrebbero anche far ridere se raccontate nel rispetto dell'identità di ciascuno di noi.
     
     
  • Arte e Cultura

    Festival del cinema di Spello e dei borghi umbri: il ritorno tra proiezioni di film, mostre e incontri

    Venti film tra produzioni italiane e straniere, 12 backstage di film e serie tv, 17 documentari e 58 cortometraggi. Sono alcuni dei numeri del prossimo “Festival del Cinema Città di Spello ed i Borghi Umbri - Le Professioni del Cinema” che si terrà in presenza dall’11 al 20 giugno prossimi tra i comuni di Spello, Foligno e Marsciano. Ideata dalla presidente dell’Associazione Culturale di Promozione Sociale “Aurora” APS, Donatella Cocchini, e dal direttore artistico, il regista Fabrizio Cattani, la manifestazione giunge quest’anno alla sua decima edizione.

    Un decennale che sarà celebrato con grandi ospiti del mondo cinematografico e che vedrà, oltre alla proiezione di oltre un centinaio di opere al Teatro “Subasio” di Spello, anche diverse iniziative collaterali tra mostre, conferenze ed eventi dedicati alla musica, alla danza ed al teatro. Tra le opere in concorso ci sono undici film italiani in concorso, tra opere prime e non. Si tratta di: "Abbi fede" di Giorgio Pasotti, “Assandira" di Salvatore Mereu, “I predatori" di Pietro Castellitto, “Il grande passo" di Antonio Padovan, “La guerra di Cam" di Laura Muscardin, “Non odiare" di Mauro Mancini, “Quasi Natale" di Francesco Lagi, “Regina" di Alessandro Grande, “Rosa pietra stella" di Marcello Sannino, “Spaccapietre" di Gianluca De Serio, Massimiliano De Serio e “Sul più bello" di Alice Filippi. Film giudicati dai professionisti del dietro le quinte che premieranno, con l’ulivo firmato Andrea Roggi, i colleghi per la migliore sceneggiatura, fotografia, scenografia, costumi, musiche, montaggio, fonico di presa diretta, montaggio del suono, effetti speciali, trucco, acconciatura, creatore di suoni ed organizzatore. Nell’ambito della stessa categoria verranno assegnati due ulteriori riconoscimenti: quello di cinemaitaliano.info e, novità 2021, quello della stampa umbra.

    A concorrere alla X edizione del Festival anche 7 film internazionali (“Gaugin” di Edouard Deluc, “In viaggio verso un sogno” di Tyler Nilson, “Imprevisti digitali” di Benoît Delépine, Gustave Kervern, “Undine - Un amore per sempre” di Christian Petzold, “Roubaix une lumiere” di Arnaud Desplechin, “Corpus Christi” di Jan Komasa e “Non conosci Papicha" di Mounia Meddour Gens); 12 backstage tra film e serie tv (“Padrenostro” di Daniele Santonicola, “I diari di Hammamet” di Daniele Santonicola, “Permette? Alberto Sordi” prodotto da Rai Fiction, “La concessione del telefono - C’era una volta Vigata” prodotto da Palomar in collaborazione con Rai Fiction, “Speciale Zerozerozero” e “Speciale Zerozerozero - La colonna sonora” di Federico Chiarini, “Speciale - Diavoli” di Laura Allievi e Domenico Brandellero, “Speciale - I delitti del Berlume 8” di Tiziana Cantarella, “Speciale Petra - Un giorno con Alicia Bartelett”, “Speciale Petra - Indagine dietro le quinte” e “Cops una banda di poliziotti - Speciale dietro le quinte” di Sara Albani e “Mental” prodotto da Rai Fiction); 17 documentari (“Tony Driver” di Ascanio Petrini, “Il vangelo più antico del mondo” prodotto da Officina della Comunicazione, “Petite creature” di Roberto Cardonici, “La Napoli di mio padre” di Alessia Bottone, “Movida” di Alessandro Padovan, “La yurta nel bosco” di Carla Pampaluna, “Manuale di storie dei cinema” di Stefano D’Antuono e Bruno Ugioli, “Prayers the wind” di Michele Piasco, “Criseide” e “Terrigena” di Max Leonida, “Un film su Tonino Delli Colli Cinematographer” di Claver Salizzato, “Il sistema sanità - Le pietre scartate Napoli, Rione Sanità” di Andrea De Rosa, “Abbandonati” di Claudio Moschin, “Io una giudice popolare al maxi processo” di Francesco Miccichè, “In prima linea/On the front line” di Matteo Balsamo e Francesco del Grosso, “La forma delle cose” e “Odissea” di Domenico Iannacone”; 18 cortometraggi sui 58 selezionati e proiettati (“È stato solo un click” di Tiziana Martini, “Better than Neil Armstrong” di Alireza Ghasemi, “The cloud is still there” di Mickey Lai, “Mousie” di David Bartlett, “Voices of the city” di Annamaria Pernazzi, “The gift” di Lorenzo Sisti, “Finis terrae”di Tommaso Frangini, “Inverno” di Giulio Mastromauro, “Ninnaò” di Ernesto Maria Censori, “Ape Regina” di Nicola Sorcinelli, “La confessione” di Benedicta Boccoli, “La particella fantasma” di Giuseppe Willia Lombardo, “Bataclan” di Emanuele Aldrovandi, “Where the leaves fall” di Xin Alessandro Zheng, “Close your eyes and look at me” di Andrea Castoldi, “Like ants” di Gaetano Capuano, “Fame” di Giuseppe Alessio Nuzzo e “American Marriage” di Giorgio Arcelli Fontana).

     Come ogni anno verranno poi assegnati dei premi speciali, a cominciare dal “Premio all’Eccellenza” che verrà quest’anno assegnato all’attrice veronese Valeria Fabrizi, interprete di un centinaio di film tra cinema e tv, di numerosi spettacoli teatrali e volto di diversi varietà televisivi. Prima di lei a ricevere lo stesso riconoscimento erano stati Carlo Rambaldi, Vittorio Storaro, Giuliano Montaldo, Ermanno Olmi, Pupi Avati, Franco Piavoli, Flavio Bucci e Milena Vukotic. Per il “Carlo Savina” per l’eccellenza alla musica a salire sul palco sarà, invece, il 42enne musicista, compositore e sound designer Lorenzo Tomio. Terza edizione, poi, per il “Premio Ermanno Olmi”, consegnato dalla famiglia del grande maestro ad un regista che più si avvicina per sensibilità, poetica, autenticità, semplicità e realismo allo stile del grande maestro. Premio che verrà quest’anno assegnato a Salvatore Mereu, regista del film “Assandira”.

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    Il Cattivo Poeta, il film su Gabriele d'Annunzio, un binomio di genio e sregolatezza

    L'autore preferito di Mussolini, il poeta-aviatore italiano Gabriele d'Annunzio ha raggiunto la fama internazionale con il suo romanzo in cui si avvicina alle teorie superonistiche di Nietzsche, Il trionfo della morte (1894). Il poeta è una preda difficile per i biografi, nonostante il suo debole per le orge. John Woodhouse, l'esegeta più fidato dello scrittore fino ad oggi, ha fatto un coraggioso tentativo di riabilitare la sua reputazione in una biografia del 1998, "L'Arcangelo ribelle". 

    Come Woodhouse anche il regista Gianluca Jodice vede d'Annunzio un uomo capace di elevarsi al di sopra delle masse, tramite il culto del bello, l’arte di una vita eroica. Ed è Sergio Castellitto a vestire  i panni di colui che ha fatto della sua vita un’opera d’arte nel  "Il Cattivo Poeta", in uscita nelle sale italiane il 20 maggio con 01 Distribution. Il film racconta l’ultimo anno di Gabriele d’Annunzio, un eroe di guerra e il prototipo del fascista. Era infatti il febbraio del 1921 quando il Vate, amareggiato per l’impresa di Fiume e per lo spostamento a destra del fascismo (la cui linea, in un primo momento, lasciava immaginare come obiettivo un “socialismo nazionale”), decise di autoesiliarsi a Riviera, circondato da fedeli compagni e servitori, dove poter vivere di ricordi, di antiche glorie, sia letterarie sia di guerra, unico luogo dove reputava di potere vivere, o almeno sopravvivere.

    Il Cattivo Poeta è ambientato nel 1936. La sua età avanzata, i suoi malanni, i suoi vizi, lo hanno portato a una depressione finale. Dopo aver espresso il proprio dissenso sull' avventura coloniale africana, il Duce, decise di istituire una sorveglianza "di partito", Il segretario del Pnf, Achille Starace, affidò il supercontrollo censorio della cittadella gardesana al federale di Brescia, Giovanni Comini, interpretato da Francesco Patanè.

    "La mia intezione non era solo quella di realizzare un biopic, un film storico ma anche un thriller", rivela Jodice. Il poeta era un uomo al di là della destra e della sinistra, era un egocentrico individualista capace di smuovere le folle con la sua voce magnetica. Un libertario per il quale la politica non è da intendersi necessariamente come l’adesione a un partito rispetto a un altro, ma come la capacità di interpretare il proprio tempo, e i cambiamenti necessari, per essere in grado di accorgersi quando si adottano soluzioni inadeguate.

    Dal film emerge perfettamente il rapporto ambiguo che si era instaurato fra il vate e il regime, perché se da un lato fu glorificato quale portabandiera del glorioso passato italiano, dall’altro costituiva un pericolo. Per Castellitto Il Cattivo poeta  ha il merito di restituire una figura importante nella storia della letteratura italiana che tra eccessi e  virtù, è stato il fondatore di un modo di vivere assoluto. "Il suo mito è simile ad una rockstar di oggi, ma non c’è stato uomo più maledetto in morte, basti leggere cosa dicevano di lui Elsa Morante, che lo definì un imbecille e Pasolini, che non fece mai mistero di detestarlo".

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    Rifkin's Festival

    Mort Rifkin (Wallace Shawn), si immerge in scenari cinematografici della vecchia scuola mentre sogna. È un professore di cinema degli anni '70 di Manhattan che accompagna Sue (Gina Gershon), sua moglie, ufficio stampa del cinema, al festival di San Sebastien. Il loro viaggio al Festival del cinema di San Sebastian, in Spagna, è turbato dal sospetto che il rapporto di Sue con il giovane regista suo cliente, Philippe (Louis Garrel), oltrepassi la sfera professionale.

    Rifkin non ha intenzione di guardare alcun film durante il suo soggiorno nella città spagnola. E ‘un vecchio disincantato che afferma che i film al giorno d'oggi non sono abbastanza rischiosi o sinceri che ne fanno meritare la visione. Il suo matrimonio è in crisi ma invece di tentare di recuperare il rapporto con la moglie, sceglie di distrarsi con una bellissima dottoressa sulla trentina di nome Jo (Elena Anaya). Si innamora follemente di lei, che intanto è impegnata in un matrimonio orribile con un artista più anziano e emotivamente instabile, Paco (Sergi López).

    La fase post-MeToo della carriera di Allen non è stata particolarmente fortunata per il regista americano, inserito nella lista nera dell’industria cinematografica degli Stati Uniti. La buona notizia è che Allen continua a fare film di qualità. Le sequenze da sogno sono infatti il momento clou del film in quanto consentono ad Allen di rendere un amichevole omaggio ai suoi registi preferiti.

    Un enorme contributo al successo del film dipende dall'ottima interpretazione di Wallace Shawn, amico di lunga data al quale Allen non può imporre tic o movimenti simili ai suoi, e dalla splendida fotografia di Storaro, capace di delineare solitudine e pretenziosità in colori pastello, la pedanteria e la profonda umanità del protagonista. Gina Gershon, con la sua travolgente sensualità, acuisce l'asimmetria con l'assenza di fascino di suo marito, e ringraziando il cielo Elena Anaya è sfuggita agli stupidi tratti da gallina che Allen ha recentemente associato al fascino femminile. Tuttavia, il rapporto tra l’affascinante cardiologa e Rifkin sembra più forzato che naturale, ma potrebbe anche funzionare come tributo alla filmografia di Allen, in particolare ad uno dei suoi ultimi successi come Vicky Cristina Barcelona.

    Rifkin’s Festival è comunque un'opera minore, un candido omaggio alle sue passioni cinefile di ottuagenario che si percepisce (ed è diventato, per molti versi) un emarginato.

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    La notte degli Oscar premia Nomadland

    l film di Chloe Zhao - già vincitore del Leone d'Oro alla 77esima edizione del Festival di Venezia - ha conquistato tre Oscar e ha fatto la storia della 93/a edizione: miglior film, miglior regia (la seconda in assoluto ad una donna dalla storia del premio, la prima ad una asiatica) e migliore attrice protagonista, Frances McDormand 
     
    Nomadland  è capace di rendere una realtà cupa in modo così avvincente da ripristinare la fede nell'umanità. IL personaggio centrale di “Nomadland” è Fern, una splendida Frances McDormand, una donna vittima del crollo economico di una città aziendale nel Nevada rurale, che dopo la morte del marito decide di far diventare casa il suo van e, carica i bagagli, si mette sulla strada. Come miglia di americani diseredati, anche Fern decide di vivere una vita itinerante in cerca di lavori stagionale e affitto a prezzi accessibili. Sono i workampers, manodopera usa-e-getta, perché, "l'ultimo posto libero in America è un parcheggio".

    Dopo una vita di solidità e ascensori sociali, la pensione si prospetta per milioni di americani come il tempo della precarietà e dell’insicurezza. E' ironico che la generazione dei baby boomers sia ora vittima delle volatilità del mercato e dell’erosione delle protezioni sociali che sono state il marchio della loro epoca d’oro. E non si tratta soltanto di condizioni economiche.

    Nomadland aiuterà milioni di persone nel mondo a capire che l'America è un paese falsamente prospero. I workampers selezionano le barbabietole da zucchero, raccolgono fragole, gestiscono campeggi o scaffali di scorta nei magazzini di Amazon. (Jeff Bezos, l'amministratore delegato di Amazon, possiede il Washington Post.) È un lavoro massacrante, mal pagato e senza benefici. Il programma CamperForce di Amazon, ad esempio, assume legioni di lavoratori stagionali - la maggior parte dei quali vive nei loro veicoli - prima del Natale e licenzia quando le vacanze finiscono.

    I personaggi di Nomadland sono uomini e donne orgogliosi. Molti sulla sessantina e oltre, dovrebbero entrare nella sesta età dell'uomo di Shakespeare, "con i pantaloni magri e con le ciabatte, con gli occhiali sul naso e il marsupio sistamato sul fianco". Invece sono senza casa, senza soldi, senza sicurezza, senza tutto, tranne la loro dignità e la fiducia in se stessi.

    C’è una parte di Fern che, in fondo, vorrebbe una vita non costretta dalla costante ricerca di un nuovo posto di lavoro, a cambiare campeggio dopo campeggio, sola. Eppure, dall’altra parte, Fern non può smettere di viaggiare e incrocare altri nomadi della strada che condividono con lei i propri racconti. La vita da nomade dei tempi moderni è difficile da comprendere perchè il desiderio di libertà, di una vita senza vincoli e radici, può diventare anche una condanna. 

    Un film pieno di solitudine che viene scandita dagli stupendi paesaggi della costa occidentale, dai tramonti nel deserto e dalle le lunghe highways americane. Fern intraprende un percorso di autodeterminazione alla ricerca del senso più profondo della vita e al di fuori della società convenzionale. Una vita minimalista, essenziale, fatta di pochi oggetti. 

    Nomadland è il tentativo straordinario di "trascendere - il logoro ordine sociale" da parte di persone che ne sono state deluse, ricostruendo il proprio "mondo parallelo su ruote". Li possiamo definire perdenti?

     
     
  • Arte e Cultura

    Zero, la prima serie italiana sui giovani neri italiani

    “Essere invisibili è il vero potere” è una delle citazioni che spicca nel trailer della nuova serie originale italiana “Zero”, in anteprima su Netflix da mercoledì 21 aprile in 190 paesi. A pronunciarla è un ragazzo italiano nero, Omar, interpretato da Giuseppe Dave Seke, un 20enne italiano nato da genitori senegalesi. Zero disegna fumetti manga che hanno come protagonisti ragazzi neri. Vive al Barrio, un quartiere immaginario alla periferia di Milano ma sogna di lasciare il suo quartiere per trasferirsi a Bruxelles. Omar vive un senso di distacco e il non sentirsi parte del proprio paese la fa sentire come se volesse “strisciare fuori dalla propria pelle” e “diventare invisibile”. Almeno fino a quando non scopre di avere davvero il superpotere dell’invisibilità. Insieme al suo gruppo di amici cercherà di salvare il quartiere a cui nonostante tutto sente di appartenere.

    Ideato da Menotti assieme a Antonio Dikele Distefano, l’autore di Non ho mai avuto la mia età (Mondadori), il libro a cui si ispira la serie,  Zero” non è una serie afroitaliana ma storia di supereroi che racconta la storia di ragazzi di colori e credo diversi, figli di migranti, cosiddette seconde generazioni (termine quanto mai inappropriato ) che il paese non vede e che  considera ancora strani. Una questione di legge, ma soprattutto di cultura. “A  me non piace parlare di eccezionalità, bensì di normalità”, precisa Distefano. “La serie di rivolge a un pubbico ampio, a prescindere dal colore. Quando il colore della pelle non sarà più al centro del dibattito, allora finalmente quella sarà la normalità”.

    Tra i registi degli otto episodi, Margherita Ferri, Ivan Silvestrini, Paola Randi e l’egiziano Mohamed Hossameldin, il film rappresenta un tentativo virtuoso per cercare una rappresentazione dell’Italia più plurale e inclusiva, anche al cinema dove gli attori neri sono incasellati in stereotipi e i registi sembrano ignorare la realtà contemporanea dell’Italia. Zero può esssere l’inizio di un cambiamento di una società che fa ancora fatica a riconoscere una definizione di italianità non basata unicamente sulla discendenza e quindi, in qualche modo, sulla bianchezza. Sono migliaia nel nostro Paese, ragazzi e ragazze come tutti gli altri. Parlano italiano, magari anche un dialetto, sono nati e cresciuti qui, dove hanno frequentato le scuole dell’obbligo. Fanno parte del tessuto sociale delle proprie comunità e sono uguali a tutti i loro coetanei, ma i loro genitori non sono italiani e per questo sono senza cittadinanza. Stranieri in casa propria.

    ”Penso che Zero sia una grande opportunità per tutte le nuove generazioni”, dice Giuseppe Dave Seke, “In Zero raccontiamo una storia, ma può far sfondare una porta per raccontare altre storie come quelle, che oggi in Italia non vengono mai raccontate”.
    Un’identità multiforme quella di Zero che si esprime anche nella colonna sonora. Il compositore delle musiche, ideate appositamente per Zero, è Yakamoto Kotzuga. Tra i brani principali presenti nella colonna sonora, l’inedito di Mahmood, dal titolo Zero e prodotto da Dardust. Mentre nel primo episodio, è presente il brano di Marracash dal titolo “64 barre di Paura”.

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