Articles by: Paola Aurisicchio

  • Fatti e Storie

    La Sirena, Joe Bastianich porta gli americani a cena in trattoria

    “Ho avvicinato gli americani all’enoteca, alla pizzeria, all’osteria, al più classico ristorante italiano e adesso provo a insegnargli cosa vuole dire cenare in una trattoria.”

    C’è la ricerca della semplicità e dell’autenticità dei cibi dietro il nuovo ristorante che Joe Bastianich ha aperto a Manhattan rivisitando in chiave moderna ed elegante l’idea della trattoria. 

    Se in Italia la trattoria è una piccola attività a gestione familiare, legata alla cultura popolare e alla cucina locale di qualità, quella che l’imprenditore ha aperto sulla Nona Avenue, tra le 16^ e 17^ strada, è una trattoria rinnovata, funzionale al nuovo pubblico, ma che conserva l’atmosfera calda dei locali italiani.

    Si chiama La Sirena il nuovo ristorante di circa 400 coperti che il celebre imprenditore della ristorazione, nato a New York ma di origini italiane, ha aperto ancora in collaborazione con lo chef Mario Batali, affermato ristoratore e grande esperto della storia e della cultura della cucina italiana.

    Bis di primi, la pasta da condividere
    La Sirena si trova al primo livello del The Maritime Hotel ed è un enorme spazio a due passi da Meatpacking a Chelsea, circondato da vetrate per esaltare la luce naturale e con un bar di marmo di oltre 10 metri che divide il patio e collega le due sale. 

    “Non potevo rifiutare un locale in quello che per me è uno degli angoli più belli di New York”, prosegue Bastianich, già titolare di numerosi ristoranti a New York tra cui Del Posto e Babbo. 

    “Perché ho scelto di chiamarlo La Sirena? Perché mi piaceva l’idea di un nome dal gusto rétro, anni Cinquanta come la sirena”, racconta Bastianich, camicia bianca e giacca blu seduto sul divano di una delle sale del ristorante.

    L’imprenditore, insieme alla celebre mamma chef, imprenditrice e scrittrice Lidia Bastianich, e a Batali, è proprietario di trenta ristoranti sparsi nel mondo. Con La Sirena, Bastianich ha in mente però di aggiungere un altro tassello all’educazione americana perché accanto alla qualità degli ingredienti si sta facendo portavoce di un’altra peculiarità della tavola italiana: la condivisione del cibo. Così il suo nuovo ristorante, il cui chef è Josh Laurano, propone il bis di primi, la possibilità di ordinare due primi diversi da assaggiare e da condividere tra i commensali.

    “Consiglio di provare bucatini con pomodoro San Marzano piccante e polipo e mezzelune all’anatra”, suggerisce Bastianich che, per il secondo, propone branzino, orata oppure bistecca per due e accompagnati rigorosamente da vini italiani. “So che gli americani non hanno questa mentalità della condivisione”, illustra ancora, “ma La Sirena nasce con il concetto del bis e sono contento che l’idea stia andando molto bene. D’altronde gli americani amano il primo”, aggiunge.

    “Nei miei ristoranti sono un giudice spietato”
    Bastianich racconta di trascorre molto tempo in Italia, il Paese dove è diventato una celebrità anche per la sua partecipazione da giurato al talent show culinario MasterChef insieme a Bruno Barbieri, Carlo Cracco e Antonio Canavacciuolo, l’olimpo della cucina italiana.

    Bastianich è un giudice spietato. Si arrabbia, lancia i piatti ed è noto per il suo strafalcione ad arte diventato un ritornello: “Vuoi che muoro”, dice il giudice quando un piatto non è di suo gradimento alterando il “muoio” italiano. “Nei miei ristoranti sono ancora più spietato, dieci volte peggio”, racconta divertito l’imprenditore della ristorazione, “ma quando esco e vado a cena no, cerco di rilassarmi. Di solito a New York preferisco mangiare coreano, giapponese e difficilmente italiano”.

    Il pollo di patate della nonna
    Bastianich è stato giudice anche per cinque edizioni di MasterChef USA eppure il ristoratore nota come “tra i due programmi ci sia una differenza enorme. MasterChef USA è uno spettacolo”, dice, “mentre MasterChef Italia è il racconto di persone la cui vita può cambiare attraverso la cucina”.

    Qual è il piatto a cui Bastianich non rinuncerebbe mai? “Al pollo con le patate con cipolla di Tropea e rosmarino fatto da mia nonna nella pentola di ferro che usa da 50 anni”, risponde il ristoratore che, invece, a una donna americana consiglierebbe di imparare a cucinare le polpette. “Perché sono semplici”, conclude, “si possono conservare in frigo, piacciono ai bambini e agli adulti. Diciamo, che è un cibo da battaglia”.

    La Sirena
    88 9th Ave, New York, NY 10011

  • Dining in & out: Articles & Reviews

    An Italian Trattoria: A Bis of Pasta and the Perfect Wine

    “I’ve introduced Americans to everything from the enoteca, the pizzeria, the osteria to the most classic Italian restaurant,” said restaurateur Joe Bastianich. “Now I’m tryingto teach them what it means to dine in a trattoria.”

    His new Manhattan restaurant is all about simple, authentic food that revisits the concept of atrattoria in a modern and elegant key. If trattorie in Italy are small, family- run affairs connected to popular culture and good local cuisine, the entrepreneur’s new venture on 9th Avenue between 16th and 17th Street is an updated version aimed at contemporary diners that still preserves the warm ambience of its Italian counterpart.

    It’s called La Sirena. The new 400-seater was opened by the famed entrepreneur in collaboration with Chef Mario Batali, the established restaurateur and expert in the history and culture of Italian cooking.

    La Sirena is located on the top floor of The Maritime Hotel, an enormous space not far from the Meatpacking District, with lots of natural light and a 40-foot marble bar that divides the patio and connects the two dining rooms. “I couldn’t turn down a venue in what, for me, is one of the most beautiful corners of New York,” continues Bastianich, “why did I call it La Sirena? Because I liked the idea of a 50s style retro name,” he says, sitting on a couch in one of the restaurants two rooms, sporting a blue blazer and a white shirt.

    The young entrepreneur, who already owns numerous restaurants in the city, including Del Posto and Babbo, is also the co-proprietor of over thirty restaurants scattered across the globe, alongside his mother, celebrity chef and writer Lidia Bastianich, and Mario Batali.


    Educating Americans

    With La Sirena, however, Bastianich is also driven to educateAmericans. Besides championing certain ingredients, he is becoming a spokesperson for another idiosyncrasy of Italian dining: family-style eating. So chef Joseph Laurano is offering a bis of pastas, i.e., the option to order two different kinds of pasta dishes to taste with your dining companions.

    “I recommend the bucatini with spicy octopus and San Marzano tomatoes as well as duck mezzelune,” says Bastianich. For the meat course, he suggests branzino, orata or else a steak for two paired with the perfect Italian wines. “I know Americans aren’t programmed to share,” he goes on, “but La Sirena is founded on the concept of the bis, and I’m happy that the idea is thriving. Besides,” he adds, “Americans love pasta.” 


    A tough critic

    Bastianich spends a lot of time in Italy, the country where he became famous in part for his participation as a judge on the cooking show Master Chef Italia, along with Bruno Barbieri, Carlo Cracco, and Antonio Canavacciuolo. The show is the Olympics of Italian cuisine.

    And he is a tough critic! He gets angry, throws dishes and is known for his litany of Italian bloopers, “Vuoi che muore?” (“Are you trying me to kill this”) he says when a plate isn’t to his liking, rather than the correct “Vuoi che muoio?” (“Are you trying to kill me”) in Italian. “But I’m even tougher on my own restaurants. I dish it out ten times worse,” he says, clearly enjoying himself.

    “But not when I go out to dinner.Then I try to relax. Usually I prefer to eat Korean and Japanese in New York. Rarely Italian.” Bastianich has also been a judge for five seasons of Master Chef USA, yet the restaurateur notes, “There’s an enormous difference between the shows. Master Chef USA is show business,” he says, “while Master Chef Italia is the story of people whose life can be changed by cooking.” 

    So what dish could Bastianich never refuse? “Chicken with potatoes, sweet red onions, and rosemary made by my grandmother in the iron pan she’s used for fifty years,” he responds.  As for Americans, they should learn how to cook meatballs. “Because they’re simple,” he says. “You can keep them in a fridge and both adults and kids like them. Call it multipurpose food.”

    La Sirena
    88 9th Ave, New York, NY 10011

  • Fatti e Storie

    New York ricorda le Foibe e la strage sommersa

    “Solo dalla ricostruzione della storia si possono porre le basi per superare l’odio”, ha esordito cosi' il Console Generale Natalia Quintavalle, presentando l’incontro dedicato alle Foibe, il massacro degli italiani della Dalmazia e della Venezia Giulia, durante la seconda guerra mondiale. 

    Il riferimento alla  foibe deriva dalle cavità carsiche profondissime e di origine naturale, dette appunto foibe, con un ingresso a strapiombo. Fu li' dentro che venne portato a compimento il massacro, tra il 1943 e il 1947, gettando quasi 10mila cittadini italiani. 
     

    Presenze importanti, alla commemorazione del 26 febbraio, presso il Consolato Generale, quelli di Eligio Clapcich ed Ellis Tommaseo,  rispettivamente presidenti dell’Associazione Giuliani nel mondo per le sezioni New Jersey e New York. 

    Ed Eligio Clapcich, di fronte a una platea composta da altri associati, storici, dal console generale aggiunto Roberto Frangione e dal console aggiunto Chiara Saulle, da  membri della comunità italiana, ha ripercorso la storia di questa strage, partendo dalla sua esperienza personale.

    “Su Trieste hanno marciato gli slavi, i tedeschi, gli americani, i neozelandesi e quindi gli italiani”, ha detto, ricordando come Trieste abbia “tolto il sonno a Stalin, Tito, Eisenhower, Churchill. È importante ricordare”, ha proseguito, “per chi non ha più un nome e per chi  ha subito il martirio delle foibe.” 

    E' una strage nascosta, sconosciuta ancora ai libri di storia.   Ellis Tommaseo, la cui mamma solo per caso è scampata alla strage di Vergarolla, una spiaggia di Pola,  ha raccontato la sua esperienza. 

    “Il 18 agosto 1946”, ha detto, “nella spiaggia di Vergarolla era stata organizzata una gara di nuoto a cui partecipavano anche molti bambini. Alle 2 del pomeriggio una mina disattivata, ma poi riattivata da mano ignota, è esplosa uccidendo 100 persone. Questa è la strage di Vergarolla, l’unica rimasta senza una riga nei libri di storia e senza un ricordo”. 

    E l’unica testimonianza diretta di quel massacro è una foto, che è stata proiettata, che immortala un uomo con una bambina in braccio tratta in salvo. “Ma di quell’uomo non sappiamo neanche il nome”, ha aggiunto Tommaseo. 

    Nel 1946 la mamma di Tommaseo aveva 4 anni e avrebbe dovuto partecipare alla gara di nuoto “ma fortunatamente”, ha raccontato il presidente dell’Associazione Giuliani nel mondo New York, “mia madre accusò un malore e non andò in quella spiaggia dove perse un cuginetto”. 

    La strage di Vergarolla è una strage sommersa.  “Non c’è morte peggiore dell’essere taciuti e ignorati” sentenzia Tommaseo.  La conclusione del Console Generale Natalia Quintavalle e' colma di commozione:  “il consolato ha ridato dignità a un massacro dimenticato”.

  • Arte e Cultura

    Dacia Maraini: "Ecco come nascono i miei romanzi"

    Originaria della Toscana, la scrittrice autrice del recente “La bambina e il sognatore” (Rizzoli, 2015) e della raccolta di racconti “Buio” con cui ha vinto nel 1999 il premio Strega - il premio letterario italiano più importante - ci ha raccontato cosa rende diversa la letteratura italiana da quella americana con un ricordo dell’amico Umberto Eco, il noto semiologo e scrittore scomparso il 19 febbraio. 
     

    Henry James  diceva che l’Europa era troppo sofisticata, corrotta”, ha detto Maraini citando il celebre scrittore americano e iniziando a spiegare in cosa i libri italiani e quelli americani sono distanti. “Quelli italiani sono attenti all’aspetto letterario, sofisticato della scrittura. Gli americani, invece, hanno un rapporto più diretto, più rivolto ai contenuti”, ha proseguito. “Meno si legge e più la letteratura diventa sofisticata, fine a se stessa. Questo accade soprattutto in un Paese come l’Italia dove si legge poco. In America, invece, si legge molto”, ha proseguito, “ed è anche per questo motivo che rende le idee piu' accessibili. Se dovessi consigliare un libro italiano agli americani non avrei dubbi: I Viceré di Federico De Roberto”.  
     

    Saggista e anche drammaturga e sceneggiatrice, Maraini ha ricordato Umberto Eco,  "Un grande amico di cui ammiravo tanto la vena ironica perché amava prendersi in giro", ha detto Maraini. "Umberto Eco ha avuto il coraggio di rompere l’idea di letteratura morta. Nel periodo in cui pubblico'  'Il nome della rosa' si diceva che la letteratura fosse morta.  Umberto invece scrisse un romanzo che ha rilanciato l'editoria italiana nel mondo”, ha spiegato.  
     

    Prima di firmare autografi sui suoi libri tradotti in inglese, la scrittrice si è raccontata al pubblico
    raccolto nella sala dell’Hunter College. Lettori, studenti e appassionati  hanno rivolto varie domande a Maraini. “Come nascono i suoi personaggi?”, “Le parole hanno ancora una forza?”, “La sua esperienza personale entra nei libri?”. E ancora molte altre. E Maraini con grande generosità ha spiegato il suo modo di scrivere, ha detto che quando inizia un romanzo non sa come finirà.  

    "Parto da un personaggio che cresce insieme al romanzo il cui finale mi è totalmente sconosciuto", ha illustrato  Maraini il cui primo successo risale al 1962 con il romanzo "La vacanza" seguito, tra gli altri, dalla "Lunga vita di Marianna Ucrìa" (1990, premio Campiello), "Bagheria" nel 1993 e "Colomba" nel 2004. 

    Per Maraini c’è una differenza tra la potenza della parola e il chiacchiericcio in cui, a volte, si trasformano le parole soprattutto con l’avvento dei social media. 

    “Le parole hanno ancora una forza”, ha risposto a una lettrice. “Ma è importante il modo in cui uno scrittore usa le parole.  Soprattutto oggi in cui le nuove tecnologie stanno affievolendo la potenza delle parole." " Quello in cui credo fermamente”, ha proseguito ancora, “è la forza del pensiero, del lavoro che nasce da un’idea. Penso ad esempio alla politica, che per me significa crescere insieme. La politica, oggi, ha perso molto del suo potere perché deve tornare a lavorare con il pensiero”.

     
    Maraini ha trascorso l’infanzia in Giappone, dove la famiglia si era stabilita dal 1939, finendo internata in un campo di concentramento perché suo padre si era rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò, il regime fascista guidato da Benito Mussolini.  

     È alla drammatica esperienza che la scrittrice ha fatto riferimento rispondendo a un’altra domanda del pubblico e raccontando come, non solo quella tragedia abbia permeato i suoi romanzi, ma come dal dramma ne sia nato un esempio di idealismo. “Il campo di concentramento in Giappone ha cambiato la mia vita e ricordo che mi stupivo ogni sera di essere sopravvissuta”, ha detto Maraini. “Patimmo la fame e le bombe perché mio padre si era rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò decidendo così di rischiare molto. In quel gesto di mio padre è diventato un grande esempio di idealismo per me”, ha concluso.

  • Arte e Cultura

    Il Falstaff burlone del baritono Ambrogio Maestri

    “Tutto nel mondo è burla”, dice Falstaff nell’ultimo atto dell’opera di Giuseppe Verdi e Ambrogio Maestri, il baritono italiano che ha legato la sua fama internazionale al ruolo verdiano, entra nella sala della Casa italiana Zerilli Marimò della New York University e si burla del pubblico: saluta con voce baritonale, fa le corna quando ricorda la vicenda di Falstaff e racconta della sua difficoltà a entrare nella cesta del bucato in cui si deve nascondere durante l’opera.

    “Riccardo Muti mi diceva di divertirmi durante Falstaff perché solo così anche il pubblico si divertirà. E a New York si sono divertiti molto”, ha raccontato Maestri, originario di Pavia, durante l’appuntamento organizzato dalla Casa italiana Zerilli Marimò e intervistato sapientemente da Fred Plotkin, americano tra i più grandi esperti di opera.

    Il baritono italiano è di scena al Metropolitan Opera House dove fino al 26 febbraio vestirà i panni di Alfio in Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni ma il suo nome è soprattutto legato al Falstaff con cui ha debuttato nel 2001 diretto da Riccardo Muti, uno dei più grandi direttori d’orchestra attualmente alla guida della Chicago Symphony Orchestra.

    “Muti mi ha insegnato a interpretare al meglio Falstaff e mi ha dato vari suggerimenti”, ha detto il baritono rispondendo alle domande di Plotkin, personalità internazionale nel campo dell’opera, grande conoscitore della cultura italiana e autore di nove libri non solo dedicati al melodramma ma anche all’enogastronomia italiana.  

     “Ad esempio, durante la scena in cui Falstaff deve nascondersi nella cesta del bucato non riuscivo a entrare nella cesta e a cantare contemporaneamente e Muti mi ha fatto vedere come fare”, ha spiegato il baritono suscitando l’ilarità del pubblico perché Falstaff non ha una forma esile ma, anzi, è grasso.

    L’opera più comica di Verdi racconta le peripezie di Falstaff continuamente burlato e Maestri ha spiegato come il pubblico di diverse città la recepisce.  “A Londra non hanno riso”, ha scherzato Maestri facendo riferimento al composto humor inglese e aggiungendo poi che i londinesi sono andati a vedere Falstaff a New York per poter ridere liberamente: “E sì, Falstaff a New York è stato un successo”. “In realtà ci sarebbe poco da ridere”, ha detto ancora, “se penso che a me, poverino, mi tocca misurarmi con Verdi e montare perfino un cavallo in scena”. E ancora risate perché il cavallo, come ha raccontato il baritono, “non la finiva più di nitrire: io cantavo e lui nitriva eppure era stato educato perché nella stalla gli avevamo fatto ascoltare Pavarotti!”.

    A partecipare alla chiacchiarata con Plotkin anche il soprano Barbara Frittoli, di scena in questo periodo insieme a Maestri al Metropolitan Opera House nel ruolo di Nedda in Cavalleria Rusticana di Mascagni.

    Nata a Milano, Frittoli si è esibita nei più importanti teatri del mondo rivelandosi una delle interpreti di riferimento del repertorio di Mozart. Frittoli ha raccontato in particolare al pubblico di quanto l'opera italiana sia amata all'estero sottolineando anche delle difficoltà di questo mestiere e cedendo, poi, di nuovo la parola al collega baritono Maestri per le conclusioni. 

    Ironico come il ruolo che riveste da anni nei maggiori teatri, gioviale come quando ha raccontato di amare la buona cucina “perché sono cresciuto in un ristorante”, Maestri ha riservato l’unica nota dolente per i nuovi cantanti e lo stato dei teatri in Italia.

    “I cantanti di oggi pensano più all’esteriorità mentre per interpretare Falstaff così come un’altra opera ci vuole tanta dedizione. Oggi lavoro più all’estero e un po’ meno in Italia perché purtroppo i teatri italiani hanno qualche difficoltà”, ha concluso Maestri tra gli applausi del pubblico. 

  • Fatti e Storie

    Cultura in lutto, addio a Umberto Eco



    Il mondo della cultura piange Umberto Eco, morto all’età di 84 anni. Con Eco non scompaiono solo il grande romanziere autore del bestseller internazionale “Il nome della rosa” pubblicato nel 1980 e tradotto in oltre 40 lingue oppure l’autore di saggi sulla comunicazione di massa,  ma l’Italia perde una delle ultime figure capaci di interpretare il mondo. “Con i social, parola a legioni di imbecilli”, aveva scritto tempo fa Umberto Eco in una riflessione sulle tecnologie, suscitando dibattiti e catalizzando l’attenzione come accadeva a ogni suo intervento.  
     
    Nato ad Alessandria il 5 gennaio del 1932, Eco si è spento nella sua abitazione. Nel 1988 aveva fondato il dipartimento della Comunicazione dell’università di San Marino e dal 2008 era professore emerito e presidente della Scuola Superiore di studi Umanistici dell’università di Bologna, ultimi atti di una carriera universitaria iniziata nel 1961 e capace di scardinare il vecchio sistema. È grazie ad Eco se i programmi di semiologia sono entrati nei corsi di laurea ed è sempre grazie al “professore” se l’Italia ha avuto il primo corso di laurea in Scienze della comunicazione a Bologna.
     
    Ma è con la narrativa che nel 1980 il nome di Eco è diventato di fama mondiale ed è arrivato al grande pubblico. Già affermato semiologo, Eco scrive il suo primo romanzo, un giallo nel mondo medievale pieno di misteri e intrighi ambientato in un monastero benedettino dell’Italia settentrionale. Si intitola  “Il nome della rosa” e il romanzo fa il giro del mondo, fa il pieno di premi tra cui anche il premio Strega - il premio letterario italiano più importante -  e nel 1986 diventa un film con Sean Connery. Al “Nome della rosa”, seguiranno nel 1988 “Il pendolo di Foucault” e altri libri fino all’ultimo del 2005 intitolato “Numero zero”.
     
    Scrittore di successo, professore invitato ad insegnare nelle più importanti università del mondo come la Columbia University e Harvard, Eco è stato anche l’interprete degli ultimi sessan’anni della storia italiana attraverso i saggi sulla comunicazione o gli articoli pubblicati sull’Espresso, lo storico settimanale delle grandi inchieste a cui Eco ha collaborato fin dalla fondazione nel 1955. 
     
    Dalla fine degli anni Cinquanta, lo scrittore si è dedicato anche all’influenza dei mass media nella cultura di massa firmando non solo il celebre “Apocalittici e integrati” ma anche un piccolo saggio dedicato a Mike Bongiorno: il conduttore televisivo italo-americano nato a New York, scomparso nel 2009 e considerato il papà della televisione italiana. Nel saggio, Eco anticipò di molti anni alcune riflessioni sugli effetti prodotti dalla televisione italiana negli anni Sessanta, quelli del boom economico. 
     
    Comunicazione ma anche politica, religione, tecnologia, sociologia: sono stati questi i temi affrontati da Eco su riviste e giornali, dall’uomo curioso che ha posato il suo sguardo anche sui social-network e che tempo fa si fermò ancora a riflettere sulle tecnologie scrivendo un’immaginaria lettera a un nipote. 
     

    Un ennesimo articolo che ha lasciato il segno e in cui Eco ha incoraggiato i ragazzi a non vedere internet come un’alternativa alla conoscenza ma a praticare le nuove tecnologie accanto ai vecchi sistemi per allenare il cervello. “Caro nipote, continua a studiare a memoria le poesie e da domani impara la Vispa Teresa”, ha raccomandato Eco ai giovani nella lettera citando la celebre poesia per bambini con cui sono cresciute generazioni di italiani.  




     

  • Fatti e Storie

    Mattarella abbraccia l'Italia di New York: l'America cresciuta grazie a voi

    Si è concluso il viaggio americano del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, a un anno dal suo insediamento al Quirinale, è volato per la prima volta negli Stati Uniti. Da un lato gli incontri istituzionali con il presidente Barack Obama a Washington e il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon nel palazzo di Vetro di New York e dall’altro l’intervento di fronte alla comunità italiana e italo-americana di New York e quello alla Columbia University.

    “Oggi sono anch’io newyorkese”, ha detto in inglese Mattarella al Guggenheim Museum - nelcorso della visita  voluta e sponsorizzata da sette associazioni italiane e italo-americane - dove il presidente della Repubblica è stato accolto dal calore di centinaia di persone. Accanto a lui  il governatore dello Stato di New York Andrew Como, l'ambasciatore Claudio Bisogniero e il console generale Natalia Quintavalle.

    E’ stato il presidente italiano a ricordare la massiccia presenza degli italiani in America con una comunità di 17 milioni e mezzo di americani di origini italiane di cui ben 3 milioni sono newyorkesi. "Voi rappresentate un ponte tra Stati Uniti e Italia",  ha detto,  "guardo i vostri volti e leggo una storia di coraggio e di successo”, ricordando poi gli italiani che hanno dato lustro a New York: da Giovanni da Verrazzano a Renzo Piano che ha firmato il nuovo Whitney Museum senza tralasciare “l’impronta lasciata dalle donne italo-americane”. 

    Ad accoglierlo un felice Andrew Cuomo, con il segno della croce del mercoledì santo sul volto. "New York è lo stato cha ha più  italoamericani e noi tutti siamo così orgogliosi di esserlo!” ha detto con emozione ricordando le sua famiglia di origine italiane. Il console Generale Natalia Quintavalle ha invece introdotto gli illustri ospiti creando subito un atmosfera istituzionale ma anche molto familiare, piena di calore.
     

    Mattarella ha citato in fila tutte le associazioni italo americane che hanno partecipato all'evento, ovvero la NIAF, la Conferenza dei presidenti delle maggiori organizzazioni italo americane, la Columbus Citizens Foundation, l’Ordine dei Figli d'Italia in America, l’Associazione americana dei decorati dell’ordine al merito della Repubblica Italiana, la Camera di commercio italo-americana ma ha anche messo un particolare accento sulla NOIAW,  l’associazione nazionale delle donne italo-americane.

    Nell'arco del suo discorso il Presidente non ha dimenticato di fare riferimento al Giorno del ricordo. "Oggi nel Giorno del ricordo rivolgo un pensiero particolare agli emigrati istriani, fiumani e dalmati e alle loro famiglie che hanno trovato conforto in questo Paese ”.

    Tra il pubblico anche la chef che ha preparato a Mattarella una cena "leggera", come ci ha detto Lidia Matticchio Bastianich , nata a Pola, capoluogo dell'allora Istria, prima dell'annessione alla Jugoslavia e testimone di una difficile fuga.
     

    Il primo viaggio americano di Mattarella è iniziato con lo storico incontro  con Barack Obama a Washington. Accompagnato dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, Mattarella è stato ricevuto nella Casa Bianca parlando del ruolo dell’Italia in Libia, della crisi dei migranti e di come un accordo commerciale tra Usa e America possa rappresentare “un antidoto contro nuove crisi finanzierie”.

    Tra Obama e Mattarella non sono mancati momenti più distensivi con il cenno alla comune esperienza da docenti di diritto costituzionale e con la lode di Obama al collega italiano di cui ha citato  “la lunghissima e straordinaria carriera come giurista e avvocato” mentre il presidente italiano ha invitato Obama in Italia.

    Dopo la tappa di Washington, Mattarella è volato quindi nella Grande Mela dove ha incontrato il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon e il presidente all’assemblea generale Mogens Lykketoft. Sul tavolo, ancora la crisi dei migranti nel Mediterraneo, gli sforzi fatti dall’Italia per l’abolizione della pena di morte, la Libia, la Siria ma anche la candidatura dell’Italia ad un seggio non permanente del consiglio di sicurezza per il 2017-2018. 
     

    Se Ban Ki-moon ha riconosciuto “il ruolo chiave dell’Italia verso l’abolizione universale della pena di morte”, il presidente Mattarella ha ricordato come “all’Unione europea serva una politica di maggiore spinta per la ripresa e per una maggiore espansione”. 

    Il viaggio del presidente, al quale ha partecipato anche la figlia Laura, si è caratterizzato non solo per gli incontri politici ma anche per quelli con le comunità italiane e italo-americane. Mattarella ha così fatto tappa al Guggenheim Museum ma ha anche visitato ha visitato Ellis Island e l’esposizione sull'emigrazione verso gli Usa ricordando come, dalla metà dell’Ottocento, 4 milioni di italiani sono arrivati negli Stati Uniti “carichi di difficoltà, di speranza e di fiducia”. 

    Il presidente italiano ha trascorso l’ultimo giorno a New York  intervenendo alla Columbia University parlando accanto a Lee C. Bollinger, presidente della Columbia University, e ad Alessandra Casella, professore di Economia nell’università, nell’incontro dal titolo “Leadership in the Age of Change: Managing Current Developments in The Mediterranean and Throughout”. 

    A quel punto, Mattarella ha lasciato New York per volare a Houston in Texas, tappa finale del viaggio per visitare la sede della Nasa e incontrare gli astronuati italiani come Nespoli, Cristoforetti, Parmitano e Vittori.

  • Fatti e Storie

    Vino 2016 e Super Bowl!

    Proporre prezzi competitivi, network e guardare oltre New York. E’ iniziata con i consigli su come sbarcare nel merato americano la più importante manifestazione di promozione del vino italiano negli Stati Uniti promossa dall’agenzia ICE : l’iniziativa intolata Vino 2016-Italian Wine Week arrivata alla quinta edizione.

    Nella sala dell’Hilton Midtown Hotel le aziende italiane che sognano di portare il loro vino sulletavole americane hanno incontrato i buyers americani ascoltando suggerimenti e consigli, ponendo domande su come superare le difficoltà che impone il mercato degli Stati Uniti.

    E' di questo che hanno parlato Chad Turnbull (Savorian0, Jason Eckenroth (shipcompliant.com), Bill Binczak (South Italy Imports) moderati dal presidente dell’associazione nazionale degli importatori di vini Bill Earle.

    A dare il via a Vino 2016 è stato però Romano Baruzzi, (Vice Direttore  Responsabile Settore Agroalimentari e Vini dell'agenzia ICE) che ha spiegato come l’appuntamento di New York sia il più grande evento di promozione del vino italiano negli Stati Uniti rammentando anche di come l’Italia detenga ormai la leadership nel mercato americano dei vini con le esportazioni aumentate del 20% per un valore di oltre 1.4 miliardi di euro secondo i dati Us Department of Commerce.

    A ricordare i dati è stato anche Turnbull che dopo essersi complemimentato con la manifestaizone Vino ha richiamato la platea di produttori a non concentrarsi esclusivamente sulla Grande Mela ma ad andare oltre guardando anche gli altri Stati. “So che tutti vogliono arrivare a New York”, ha detto il presidente del Savorian, “eppure la mia esperienza mi dice che è un grande errore limitarsi solo a questa città. Uscite fuori, cercate il mercato anche negli altri Stati”. Tra l'altro ha anche aggiunto come sia importante per un produttore di vino “parlare con gli americani”, “informarsi” e proporre “prezzi competitivi”.

    Al centro del dibattito tra gli esperti anche le nuove generazioni che si avvicinano al vino e i nuovi mezzi, i canali alternativi, da percorrere per sbarcare nel mercato americano. E’ su questo si è soffermato Eckenroth mentre Binczak ha ricordato ai produttori che hanno partecipato all’incontro che la “gente ama i vini italiani” e che in particolare anche i giovani sono sempre più attratti dal vino.

    L’incontro ha dato il via alla nuova edizione di Vino 2016 - Italian Wine Week che il 7 febbraio si è aperta in concomitanza con l’evento che fa fermare l’America: il Super Bowl. Così, produttori e buyers si sono radunati in un’altra sala allestita per l’occasione per guardare la partita. Da un lato il tifo degli americani e dall’altro la tiepida accoglienza degli italiani storicamente vicini al calcio e non al football.

    “Mi è bastato seguire la partita del Napoli”, ha scherzato Raffaele Russo di Wine in Italian che raccoglie enologi e sommelier che selezionano vini. “Ma no, il Super Bowl non l’ho mai visto”, ha proseguito accanto a tavoli di americani concentrati sulla partita. Come quello di Jeffrey T. Hummer di Laird & Company per cui il Super Bowl “è una religione”, come ha spiegato degustando un vino italiano. 

    Per Christian Capece dell’azienda vitivinicola Marulli del Salento è stata la prima volta alla manifestazione di New York ma anche la prima del Super Bowl. “E’ stato molto interessante ascoltare i consigli degli importatori”, ha spiegato, “utile capire bene come poter arrivare negli Stati Uniti. Questa partita invece sembra piu' difficile da comprendere”’, ha aggiunto.

    Vino 2016 proseguirà anche l’8 e il 9 febbraio con incontri, conferenze e tasting.

  • Fatti e Storie

    Slow Wine, il vino italiano raccontato agli americani

    “A un americano consiglierei di provare un Lambrusco. Anni fa, negli USA credevano che il Lambrusco era qualcosa di simile alla Coca-Cola addizionato con il succo di mirtillo. Adesso, invece, tanti produttori lo stanno scoprendo ”. 

    Fabio Giavedoni è il curatore, insieme a Giancarlo Gariglio, della guida Slow Wine, la guida dei vini di Slow Food che sta portando in giro negli Stati Uniti. Dopo le tappe di Los Angeles e San Francisco, Giavedoni è arrivato a New York per presentare la nuova edizione della guida nella prima giornata di Vino 2016 - Italian Wine Week, la più importante manifestazione di promozione del vino italiano negli Stati Uniti promossa dall’agenzia ICE

    La manifestazione si è aperta il 3 febbraio all'Highline Ballroom con il Grand Tasting presentato da Slow Wine a cui hanno partecipato 80 aziende provenienti da tutta Italia. Durante la giornata, e qui che Giavedoni ha spiegato cos’è la guida Slow Wine dando anche qualche consiglio agli americani. 

    Slow Wine racconta l’enologia italiana attraverso 23mila vini degustati e 336 cantine elencate soffermandosi sulle storie di vita e delle vigne. “La nostra guida è senza punteggi perché il nostro obiettivo è raccontare chi produce il vino”, ha spiegato Giavedoni. “

    All’inizio pensavamo che il mercato americano, abituato a seguire classifiche, non avrebbe apprezzato la nostra guida e invece siamo rimasti stupiti”. 

    Accanto alla guida, Giavedoni ha presentato anche la App di Slow Wine e spiegato come la guida e i vini italiani abbiano un diverso impatto nelle varie zone degli Stati Uniti. 

    “New York è charamente più esigente e quindi il mercato è più difficile anche se per l’Italia è un momento felice e di crescita”, ha detto. 

    “Il mercato di New York, però, non è molto diverso da quello di altre città americane, anche perchè negli Stati Uniti credo ci sia posto per tutti. Al limite, l’unica difficoltà”, ha osservato  Giavedoni, “è la burocrazia”. 

    Come sono cambiati i gusti degli americani? “C’è una credenza in Italia da sfatare”, ha proseguito il curatore della guida Slow Wine. 

    “Si pensa che agli americani piacciano i vini corposi stile Napa Valley. Non è vero, invece, perché c’è una nuova generazione che è cresciuta con questi tipi di vini ma che adesso ha superato questa fase per passare a vini più bevibili e leggeri. Credo, poi, - conclude con un nota di costume -  che Uber abbia aiutato molto il vino perché con Uber puoi bere di più”.

     

  • Facts & Stories

    9.117 Names to Never Forget

    Articolo in italiano >>

    "When I arrived at Auschwitz", Stella Levi remembers, "I didn't exist anymore, I couldn't recognize myself, while before I used to be Stella, I had my name.​​ This is why reading the names aloud today is so relevant". 

    Stella Levi, important voice who survived the terrifying German concentration camp, was one of the many reading out the 9117 names of Jews deported from Italy during the Nazi-fascist persecution. The occasion was the Remembrance Day established by the United Nations in 2005 to commemorate the Holocaust victims. For the last few years this day is commemorated with this ceremony in Park Avenue, by the Consulate General of Italy.​

    ​For over seven hours, from 9 am to 4 pm, representatives of the institutions, students and New York personalities took turns at the lectern enunciating the names of the Italian Jews victims of the Holocaust. 

    This was an initiative organized by the Primo Levi Center, the Italian Institute of Culture in New York, Casa Italiana Zerilli Marimo', NYU, the Italian Academy,  Columbia University and the John D. Calandra Italian American Institute CUNY.​

    ​"Memory plays a fundamental role in preventing these barbarities from reoccurring" said the Italian Consul General in New York Natalia Quintavalle, while the director of the Primo Levi Center Alessandro Cassin reflected on how the perception of this day has changed and what the true meaning of the anniversary of the Auschwitz liberation, 27 Jan 1945, is. 

    "We should ask ourselves what is this day for" Cassino said. "For those who are alive today and for those who struggle to approach to past".​
    ​Present at the ceremony also the students of the Italian School Guglielmo Marconi, accompanied by the principal Maria Palandra and by the students of the Bronx High school of Science​​ who read a few passages from the novel "The truce", by Primo Levi.

    "It's important and necessary to help the students understand the meaning of this horrible page of our history", the principal Maria Palandra stated.

    ​ Among the coordinators also the Deputy Consul Isabella Periotto and the Vice Consul Chiara Saulle who underlined the importance of Remembrance Day. " We organize this Remembrance Day event every year" Periotto said " nd we read the names of the Italians deported between '43 and '45", while Saulle added " We commemorate the victims of the Shoah. This day is to remember what has been a horrible past".

    ​Why is remembering important? The question was answered by Giorgio Van Straten, director of the Italian Institute of Culture in New York. He highlighted how "antisemitism and racism are unfortunately still partly present​​ and there is still a lot of work to be done". A warning also seconded by Anthony Julian Tamburri, Dean of the John Calandra Insitute, who explained how it is "important to rememeber because this day affects the Italian American community". 

    Joseph Sciame, President of the ​Italian Heritage & Culture Committee​ added that memory needs to be kept alive and that "the Italian community with this commemoration pays tribute to its Jewish friends."

    Finally, Peter S. Kalikov, president of H. J. Kalikow & Company, also took part in the reading and quoting Stalin he said: "A death is a tragedy, one million deaths are statistics. For this reason reading this endless list of names is so crucial".​

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