Frank Jerky ... Dietro questo buffo nome americano c’è un ragazzo romano, Francesco Carnesecchi, ventiseienne videomaker che fa parte della redazione di i-Italy. La collaborazione col gruppo statunitense degli Ima Robot e la realizzazione del video “Greenback Boogie”, dal loro ultimo singolo, ha rappresenato per lui un’occasione importante per mostrare la sua creatività. L’intervista nel corso di un suo periodo di permanenza a Roma naturalmente si svolge all’insegna dell’allegria e della semplicità, anche se dalle sue parole si percepisce una determinazione ed un grande amore per il lavoro che fa.
Gli domando subito come nasce la collaborazione con Ima Robot.
Ho fatto tutto io: ero un loro fan da tempo, mi piacevano molto. Poi un giorno, ascoltando una loro canzone, non quella del video però, mi è venuto in mente di fare questo tipo di clip, che raccontava situazioni diverse all’interno di bagni. Era un’idea che avevo già in mente da anni, solo che non la volevo “bruciare” collaborando con una band poco famosa. Gli Ima Robot in Italia sono praticamente sconosciuti, mentre in America sono un gruppo popolare, anche se il periodo di massimo splendore lo hanno avuto intorno agli inizi del 2000. Insomma, ascoltando i loro ultimi brani, quello che più mi ha colpito, non a livello di testo ma di sound, è stato “Greenback Boogie”. Sentendolo ho iniziato a “vedere” i movimenti delle camere che passavano da un bagno all’altro. Ovviamente immaginavo tutte situazioni unconventional, scorrette, o estreme. Poi ho iniziato a scrivere il video dettagliatamente, bagno per bagno, situazione per situazione. In seguito ho contattato il loro agente trovando la mail via internet e gli ho fatto leggere il treatment. Mi ha risposto dopo due settimane, quando ormai mi ero convinto che non fosse interessato, e mi ha detto che gli era piaciuta l’idea, che ne voleva parlare in persona. Abbiamo preso appuntamento e sono andato a Los Angeles dove ho incontrato anche la band. Sono apparsi subito entusiasti dell’idea ed hanno accettato la mia proposta di collaborare con loro. Così ho fatto tre mesi di pre-produzione e a metà maggio 2011, in due giorni, ho girato il video.
Ti hanno dato delle indicazioni?
No. Ho avuto carta bianca. Totale. In questo sono stati fantastici. Venivano da un periodo di silenzio della loro carriera e sono rimasti colpiti dal fatto che un loro fan italiano, mezzo matto come me avesse proposto loro di fare un video. Si sono fidati. Ci siamo fidati reciprocamente. E l’idea, comunque, era già registrata quindi nessuno poteva “copiarmi”. Io ho curato la regia, mentre Vittorio Guidotti ha montato il video e Stefano Lemon, che è un visual designer, si è occupato della grafica, dei poster, del sito.…
Ma come ti è venuta in mente l’idea dei bagni?
Anni fa, ad Amsterdam avevo comprato un poster che ho ancora in camera e che ritrae una serie di bagni pubblici. In ognuno di essi c’è una situazione diversa. Ho sempre pensato che quel poster sarebbe diventato un cortometraggio, un video musicale, ma era sempre un’idea astratta, diventata però concreta quando ho iniziato ad ascoltare gli Ima Robot. Molti dei personaggi del mio video sono chiaramente ispirati dal poster, tipo il poliziotto che sniffa oppure un coniglio gigante che fa pipì e che nel mio filmato è diventato un pollo. Molte situazioni, comunque, sono ispirate al poster.
Nel tuo video ci sono tante situazioni, varia umanità. Ma c’è una simbologia? Ammetto che sia facile “dopo” trovare tanti significati….
Si cerca sempre di intellettualizzare le cose. Io sono cresciuto guardando il cinema americano ed il mio video subisce inevitabilmente, come del resto accade in tutta la società occidentale, l’influenza americana. Il mix di personaggi sia realistici sia cinematografici non è altro che il risultato di quel che io ho visto in televisione sin da bambino.
Guardando il filmato, in effetti, c’è l’impressione che ci sia tanto di te, delle tue suggestioni, della tua formazione…
Si, in ogni bagno ci sono io e le mie suggestioni oniriche, fantasiose, estreme. C’è tutto il mio mondo, fin dalla nascita.
E con le storie come hai fatto? Come sei riuscito a trovarne così tante?
Avendo così tanti bagni e di conseguenza tanti personaggi, ad un certo punto ho chiesto aiuto ai miei contatti di Facebook. Ero talmente fuso con tutte queste storie che s’intrecciano, con tutti quei bagni e con la canzone che era lunga! Quindi, ho mandato un messaggio globale a tutti i miei contatti chiedendo a ciascuno i primi personaggi che venivano loro in mente, quelli che avrebbero “visto” in un bagno pubblico: mi hanno mandato di tutto! (ride) Molti li ho presi, come ad esempio la suora che fa pipì in piedi. Parecchi sono stati geniali.
Guardando il video mi sono divertita a trovare riferimenti cinematografici. Ad un certo punto mi è sembrato di riconoscere la valigetta di Pulp Fiction. E poi ho creduto di vederci anche i film horror, CSI, i musical. La suora che balla ricorda Sister Act. Ci vedo anche il Rocky Horror Picture Show….
Mi risponde ridendo: Sì, ci sono anche dei momenti molto “tarantiniani”. Per la suora che balla non mi sono ispirato a Sister Act. Mi piaceva in generale l’idea di far ballare tutti i personaggi. Ho fatto ballare anche Hitler!
A proposito: perché Gesù ammazza Hitler? C’è un qualche simbolismo almeno in questo?
Ride ancora: No, non è per niente simbolico, sono la persona meno religiosa al mondo. Mi piaceva l’immagine. Sono stato ispirato dalla lettura di un fumetto chiamato Jesus hates Zombies dove si racconta di un Gesù dei giorni nostri che va in giro con una mazza da baseball ed un mitra ed uccide tutti gli zombies. Mi piaceva l’idea di un Gesù col mitragliatore in mano.
E per i bagni come hai fatto? Li hai ricostruiti?
I bagni veri sono due, li abbiamo ricostruiti in una warehouse a Williamsburg, Brooklyn. Per fortuna era la casa del mio scenografo, Federico Massa, così abbiamo potuto lavorare liberamente. I bagni ricostruiti erano uno adiacente all’altro. Con il computer poi li abbiamo moltiplicati e abbiamo lavorato sui movimenti di camera. Tutto questo grazie a Vittorio Guidotti che è stato il mio montatore.
Durante la lavorazione che succedeva in questi bagni? Immagino vi siate divertiti da matti…
Ride ancora adesso solo a ripensarci: Ci siamo divertiti da morire. In tutte le riprese con l’audio ambiente si sentono solo le mie risate, per non parlare di quelle dei miei collaboratori.
Dovresti creare un backstage…
Ho cinque ore di “girati” e sicuramente qualcosa ci inventeremo. E comunque ci siamo divertiti tantissimo. C’erano attori professionisti ma anche amici miei. Per questi ultimi ero un po’ preoccupato, per come avrebbero potuto reagire davanti alla telecamera, dal momento che non sono attori professionisti. Però il bagno li ha aiutati tantissimo perché essendo chiusi non avevano alcun contatto con noi addetti ai lavori, con le telecamere in maniera diretta, quindi sono stati disinibiti all’ennesima potenza.
Tu stavi sopra, in alto?
No, la camera stava sopra. Io ero al monitor. Gli attori erano completamente isolati. Lo so perché anch’io ho partecipato al video con un piccolo cameo, quindi so come ci si sentiva: era come stare da soli in bagno. Tra l’altro, erano talmente belli quei bagni che ti veniva voglia di usarli (ride).
Allora hai fatto un casting con attori professionisti e non?
Quello del casting è stato un giorno lunghissimo e intenso, fatto a New York, alla Casa Italiana Zerilli-Marimò, dalla mattina alla sera. Sono venuti attori professionisti, studenti di teatro, tanti che avevano risposto al nostro annuncio. Invece per alcune parti più “delicate”, come poteva essere quella dello zombie che aveva bisogno di due ore di trucco, o per le scene dove veniva insanguinato tutto ho scelto degli amici.
Mi hanno colpito molto i costumi: erano parecchi ed anche di vario tipo, da quelli tradizionali a quelli più “stravaganti”. Dove li hai trovati?
La maggior parte del budget è stata spesa proprio in costumi perché i personaggi sono tantissimi, circa 85. Parecchi li abbiamo comprati su internet al minimo prezzo possibile, altri, come quello di Hitler, sono stati affittati. Per fortuna il mio produttore e aiuto regista, Gioele Donnamaria frequenta la NYU, dove mettono a disposizione degli studenti un gigantesco magazzino con migliaia di costumi e molto lo abbiamo trovato là. Alcuni attori avevano già nel loro guardaroba dei costumi, tipo il doppiopetto nero stile Man in Black, e li hanno messi a disposizione. Devo confessarti che abbiamo avuto difficoltà per i dettagli più impensabili e più banali, come la valigetta ventiquattrore che ci ha fatto impazzire: non si riusciva a trovarne una. Strano ma vero. Per i tatuaggi del tizio con la bandana siamo ricorsi a delle calze, sono tatuaggi finti.
Cosa ti resta del video, che impressione hai, adesso che è tutto finito?
Ho visto che chi ha lavorato al video ci ha messo passione, amore, professionalità. Appena arrivati sul set ognuno sapeva esattamente quel che doveva fare, anche perché avevamo solo due giorni ed un attore non poteva stare in scena più di quindici minuti. Tempi svizzeri, altrimenti non ce l’avremmo mai fatta.
E la reazione degli Ima Robot al video com’è stata?
Sono stati contenti. Comunque, in precedenza avevano visto una demo di quello che avevamo fatto. Timmy il chitarrista era un po’ preoccupato per alcune figure come Gesù o Hitler, ma poi vedendo il risultato finale si è capito che è solo un gioco, senza connotazioni politiche o religiose.
Quanto di te e quanto di New York si può trovare in questo video?
Questo video avrei potuto farlo dappertutto, anche se probabilmente i personaggi dei bagni sarebbero stati differenti. Diciamo che New York è dentro quei bagni al 99%. Di me c’è tutto quello con cui sono cresciuto a livello visivo, a livello di fumetti o in quello che leggo.
Cosa ti ha portato a New York?
Gli studi, all’inizio. Dopo il liceo ho fatto tre anni di IED (Istituto Europeo di Design). Dopo ho deciso di frequentare per un anno la New York Film Academy e di seguito ho deciso di rimanere e vedere cosa succedeva. All’inizio non succedeva tanto a livello lavorativo, giravo parecchio come free lance. Poi sono arrivato ad i-Italy.
In quel periodo eri ancora Francesco Carnesecchi. Poi ti sei “trasformato” in Frank Jerky…
Frank Jerky nasce grazie ad un mio amico che collabora con i-Italy, Julian Sachs. Si parlava del fatto che il mio nome pronunciato dagli americani fosse terribile e della necessità di trovare un bel nome d’arte. Io non volevo qualcosa di casuale, che si allontanasse troppo dal mio vero nome. All’improvviso a Julian viene in mente “jerky”, che in America sono le bustine di carne secca che vendono al supermercato. Geniale! Ha un sound quasi stupido, ma mi piace, si adatta alle cose che faccio io, che non sono mai troppo pretenziose, troppo serie…
Cos’è il cinema nella tua vita?
Tutto. Dal momento in cui salgo in macchina e metto la musica, quella è la colonna sonora del mio film. Per me tutto quel che vedo è cinematografico…
Parlami della Wrongway Pictures, la tua compagnia di produzione di video…
Siamo in tre, Vittorio Guidotti, Stefano Lemon ed io. Il sito è uscito in contemporanea con l’uscita del video degli Ima Robot, il 21 settembre. È stato fatto apposta. La Wrongway invece esiste dall’uscita del mio corto The Call, dal 2010 circa. Siamo tre matti. La cosa bella è che siamo in tre punti diversi del mondo. Io sono a New York, Lemon è qui a Roma mentre Guidotti è a Londra. Ecco perché ci siamo chiamati Wrongway: perché è il modo più sbagliato al mondo per lavorare insieme! Invece noi cerchiamo di sfruttare a nostro favore la lontananza perché grazie a questa divisione abbiamo contatti di lavoro a Londra, New York e Roma. Alla fine riusciamo a gestirci abbastanza bene, a collaborare nelle diverse situazioni. Siamo stati fortunati con questo video perché c’era l’estate ed io ero qui a Roma per problemi di visto e abbiamo potuto lavorare insieme fisicamente alla post- produzione. La particolarità, tra le tante che ha questo video, è che è stato girato in una location, a New York, appunto, e montato in tre, tra Roma, Velletri e Nettuno.
Che differenza c’è tra un ragazzo che, come te, voglia vivere una vita all’insegna del cinema qui in Italia e là, dall’altra parte dell’Oceano?
Qui se dici che sei un film maker la gente ti chiede cosa tu faccia in realtà, ti chiedono il tuo vero lavoro, come se fosse un hobby, qualcosa di frivolo: non ci si rende conto che lavorare nel cinema vuol dire anche faticare tanto per arrivare dove vuoi arrivare. A New York ho conosciuto tanti ragazzi, anche italiani, che fanno di tutto per inseguire un sogno. Lo stesso ho fatto e faccio tuttora io: non ricordo un solo giorno della mia vita in cui ho deciso di fare qualcos’altro se non cinema. Tutto è stato molto semplice per me, mangio e respiro cinema da quando sono bambino e per me è stato sempre così. Se ce la faccio bene, altrimenti morirò provandoci.