"La Spartenza". Valigie da non dimenticare
Nel teatro dell’Italian Academy della Columbia University lunedi scorso si respirava un’aria diversa. Intima, di casa. Gli occhi dello spettatore non erano rivolti al palco, che rimaneva di lato, oscuro, quasi come un testimone assonnato. Su sedie disposte in semicerchio, il pubblico questa volta seguiva gli attori molto da vicino, sentiva il loro respiro, entrava in famiglia.
Si perchè, secondo noi, le difficoltà di allestimento che la troupe di La Spartenza - diretto da Enzo Toto - ci ha raccontato, hanno finito con l’aiutare il pathos dello spettacolo. Seguendolo ad una diversa distanza fisica lo avremmo vissuto meno intensamente. “C’era un enorme pianoforte sul palco, non avevamo spazio, c’erano problemi per le luci... Siamo quindi scesi in platea e abbiamo ridisegnato tutto” ci ha detto il regista “del resto questo lavoro ha gia visto rappresentazioni in posti logisticamente molto diversi tra loro”.
In famiglia dunque, gli spettatori sono entrati tra le mura della vita di Tommaso Bordonaro, per apprendere dai suoi cari sequenze molto intense della sua autobiografia pubblicata da Einaudi nel 1990.
Di voce in voce ecco, nella Casa Italiana della Columbia University, snocciolato il racconto autobiografico di un contadino di Bolognetta, in provincia di Palermo, emigrato nella prima metà del novecento in America, a Garfield - New Jersey.
Un mondo antico, coraggioso, schietto, quello di Tommaso, povero ma estremamente dignitoso. I giovani attori del Teatro del Baglio di Vìllafrati, Salvina Ghetta, Giuseppe Di Dato, Giuseppe Esposto, Maria Angela Ignoti, Concetta Lala, Valeria Lo Bue, Rosario Mercante hanno veicolato con grande intensità momenti di disperazione, di gioia, di speranza. Molto efficaci la drammaturgia e l’adattamento del libro di Nicola Grato, Santo Lombino ed Enzo Toto.
E’ stata scelta una scenografia semplice, una diecina di valige antiche, pochi oggetti significativi ma di uso comune. Sotto delle luci utilizzate sapientemente poi uno scolapasta, un proiettore “moderno” con immagini originali della famiglia di Bordonaro, dei fiori di plastica, un libro, una statuetta della libertà in plastica…Oggetti semplici ed essenziali, come sono quelli della vita dei nostri contadini emigrati dal sud Italia. Pochi, poveri, ma spesso utili e con un grande valore evocativo.
Tommaso Bordonaro (1909 -2000) contadino-pastore semianalfabeta di Bolognetta emigrato, con moglie e figli, in America si racconta nel suo diario. Costretto a fare lavori molto umili - anche il becchino- diviene alla fine scaricatore di carbone nel New Jersey e cresce, sia pure tra gli stenti, onestamente la sua famiglia.
Un vero puzzle in movimento quello ricostruito in teatro, cesellato nei particolari, esaltato da immagini proettate su un panello creato da semplici valigie.
Gli attori poggiano, alzano, spostano, montano, smontano, utlizzano come letto, come sedia, tavolo, vaso per fiori, le valigie che diventano a loro volta quasi-attori. Valigie allacciate magari con lo spago, emblema di un mondo ancora poco conosciuto, a volte disconosciuto, negato.
Particolarmente acuta la scelta di non far mai parlare direttamente Tommaso, sono i suoi cari i portavoce di un patrimonio che diventa da personale profondamente culturale, rivolto a tutti. Diverse voci lo ricordano, lo interpretano, fanno parlare di lui, dialogano con lui. Apparecchiano su di un’enorme tavola immaginaria l’epopea di una famiglia, tra date, eventi, matrimoni, liti familiari, morti, aborti, nascite.
Particolare la descrizione del viaggio in nave della famiglia, insieme speranze, sogni, disillusioni, i primi sapori de l’America già a bordo e poi a tempesta, il mare che li separa.
In teatro l’atmosfera cresce davanti ad un fuoco che scalda e regala pagine di vita della saggezza di un emigrante. E ci sente come in un’antica casa, una sera, davanti ad un anziano che racconta, testimone da non perdere, per non dimenticare. Le sue parole come pietre preziose, pietre miliari di un futuro che non può dimenticare, “rigordi” preziosi.
Straordinariamente efficace in teatro il linguaggio che usa Tommaso. Come ha scritto la Ginzburg, il libro è in siculo-americano, ma attrae “il modo in cui è scritto, la verità naturale e rocciosa di questa scrittura rocciosa, simile a un sentiero di montagna che sale e scende in mezzo alle pietre”
Sicilianismi, americanismi, parole deformate, abbreviazioni, verbi all’infinito possono richiedere un po’ più di concentrazione, ma solo all’inzio.
Bordonaro comunica abilmente nella sua essenzialità. Cosi come fanno spesso nei loro racconti i nostri vecchi anche se in una trasmissione che purtroppo spesso è solo orale.
Citiamo ancora un brano della stupenda introduzione della Ginzburg per rendere lo spirito con cui Tommaso ha lasciato la sua terra: “La spartenza è ‘dolorosa e straziale’ per la separazione dagli ‘amorosi genitori’, ma il viaggio della nave, nonostante il mal di mare, è in qualche modo magnifico e magnifico l’arrivo in America e l’incontro con parenti mai visti prima, festosi e ospitali. Però i primi anni sono quanto mai difficili”.
Vicende dolorosissime quelle della vita di Bordonaro, veri macigni riservati dal destino, eppure un intenso ottimismo permanea la sua esistenza. E colpisce fino alla fine la dimensione che si è riuscito a costruire con i suoi calli, “casalinga”, mai lontana dalle sue radici. Anziano, poco prima di morire appunta “sono soddisfatto della mia vita passata, un po’ male un po’ bene …”.
E per noi che scriviamo dello spettacolo nato dalle sue parole, la consapevolezza di aver assistito ad una rappresentazione rara ed un unico rammarico che diventa una domanda: ma perchè quel lunedì sera all’Italian Academy gli spettatori erano pochissimi?
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