Articles by: Goffredo Palmerini

  • Fatti e Storie

    A NEW YORK MUORE MARIO FRATTI, TRA I PIU’ GRANDI DRAMMATURGHI AL MONDO

    L’AQUILA – Stamattina alle 9 e un quarto (le 3:15 a New York) per telefono mi giunge la notizia della morte di Mario Fratti, avvenuta qualche minuto prima nella sua casa sulla 55^ strada a Manhattan, a pochi passi da Broadway. Sua figlia Valentina, che l’ha assistito amorevolmente, mi ha informato della dipartita, pregandomi di attendere a darne notizia, fino al suo assenso arrivato due ore fa. Scrivo con commozione queste annotazioni su Mario Fratti, amico fraterno con il quale tra noi scompariva la differenza di età (avrebbe compiuto 96 anni il prossimo 5 luglio), per la freschezza del suo entusiasmo giovanile, della sua gioia di vivere, della straordinaria sensibilità e curiosità culturale. Ero stato da lui per una settimana nell’ottobre dello scorso anno, ospite a casa sua come tante altre volte, dopo tre anni di pandemia. Avevamo parlato di tante cose, soprattutto era curioso di avere notizie della sua città natale, L’Aquila, che tanto ha amato. Le difficoltà di deambulazione non avevano incrinato il suo morale, manteneva l’indole forte che ha sempre avuto. 

     

    Gli ricordavo sempre che aveva garanzia di vivere in buona salute almeno fino a 99 anni. Lui stesso mi aveva raccontato che era andato in Russia, a San Pietroburgo, dove rappresentavano una delle sue opere, una quarantina di anni fa. Mentre girava per la bella città, in una piazza fu avvicinato da una donna che gli chiese se poteva leggergli la mano. Anziché scostarla, come di solito si fa, con la sua vivace curiosità le stese la mano. La zingara, “leggendo” le pieghe sul palmo della mano, interpretò che avrebbe vissuto a lungo e in buona salute fino a 99 anni. Mario restò sorpreso di quella buona previsione di vita e anche della singolarità del numero degli anni, per lui aquilano il 99 è numero fortunato, legato alla tradizione della città. Quando mi raccontò questo fatto aggiunse: “Quella donna fu molto contenta, si sorprese che le avevo dato una buona mancia in rubli. Ma se la meritava!”

     

    Mario Fratti è stato un punto di riferimento nella vita culturale di New York, dove tutti lo conoscono per nome. L’ha frequentata intensamente fino all’arrivo della pandemia, che è stato esiziale per lui, abituato a frequentare teatri e circoli culturali, costringendolo invece in casa per quasi tre anni e privandogli l’attività di critico teatrale e di assiduo operatore culturale in tante importanti associazioni di cui era figura di spicco. Mario ricordava sempre con molto piacere la festa a sorpresa che nel 2007 gli organizzò il Comune dell’Aquila insieme al Teatro Stabile Abruzzese per i suoi 80 anni e quella che il Consiglio Regionale gli tributò per i suoi 90 anni. Erano stati due eventi che considerava autentici privilegi e che aveva apprezzato più d’ogni altro riconoscimento, egli che ne ha avuti in gran copia in tutto il mondo.

     

    Mario Fratti era nato a L’Aquila il 5 luglio 1927. Drammaturgo, scrittore e critico, è stato tra gli autori di teatro più famosi al mondo. La sua produzione supera le 100 opere. Negli Stati Uniti, sin dal suo arrivo a New York nel 1963, venne accolto con favore dalla critica. Il suo stile, perfettamente compatibile con l’indole americana, è alieno dalle ridondanze, dalle metafore e dalle sfumature tipiche del teatro europeo. La completa padronanza della lingua inglese (si era laureato in lingua e letteratura inglese alla Ca’ Foscari di Venezia) e la conoscenza profonda della letteratura americana erano stati essenziali per l’ambientamento nel mondo culturale della Grande Mela. A New York fu subito chiamato ad insegnare nella prestigiosa Columbia University, poi all’Hunter College, dove ha tenuto la docenza fino al 1994.

     

    Legata al caso la circostanza che lo portò negli Stati Uniti. Nel 1962 aveva presentato al Festival di Spoleto il suo atto unico “Suicidio”. Piacque a Lee Strasberg, che lo invitò a rappresentarlo all’Actor’s Studio di New York. In quella fucina delle avanguardie teatrali fu un vero successo. Poi ne seguirono tanti altri di successi. Le sue opere, tradotte in 21 lingue, sono state rappresentate in 600 teatri di tutto il mondo. Dall’America all’Europa, dalla Russia al Giappone, dal Brasile alla Cina, dal Canada all’Australia. Esse si connotano per l’immediatezza della scrittura teatrale, asciutta e tagliente come la denuncia politica e sociale senza veli che vi si trasfonde.Fratti ha scritto drammi, commedie, un romanzo e un libro di poesie. Ma anche un musical. Nine, tratto da una sua commedia scritta nel 1981 e liberamente ispirata dal film 8½ di Federico Fellini, è diventata un musical di successo di pubblico e di critica, con oltre duemila repliche. L’ultimo revival, con Antonio Banderas interprete, è rimasto per molti mesi in cartellone al teatro Eugene O’ Neil, a Broadway. Negli Stati Uniti ci sono state 36 produzioni di Nine; una a Londra, una a Parigi ed una a Tokyo. Molti i riconoscimenti all’autore teatrale, fanno un elenco lunghissimo. Si citano tra gli altri il premio Selezione O’ Neil, il Richard Rogers, l’Outer Critics, l’Heritage and Culture, l’Otto Drama Desk Awards e ben sette “Tony Award”, che per il teatro sono come gli Oscar per il cinema.

     

    Si potrebbero scrivere tante altre cose per ricordare Mario Fratti. Il 23 aprile 2016, dopo che con il poeta Joseph Tusiani avevano festeggiato qualcosa con il grande poeta italoamericano d’origine pugliese, nato a San Marco in Lamis, si erano reciprocamente dedicati una poesia. Mario mi mandò le foto di quella festicciola e i testi delle poesie. Me le affidò, chiedendomi di pubblicarle quando loro due, Tusiani e Fratti, non ci sarebbero stati più. Chiudo questo ricordo di Mario Fratti rispettando proprio quel suo desiderio. 

     

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    A Mario Fratti

    Mario, ti chiedo qual mai raggio vivo

    circonferenza a centro ancor congiunga, 

    che’ quasi con intuito giulivo

    sai misurare l’ora breve e lunga, 

    tu che in tal modo cogli istante ed anno, 

    ritmo di tempo  e risonanza eterna.

    Io sento e tu fotografi l’affanno

    Che dalle umane menti si squaderna;

    tu numeri le lagrime ch’io tergo,

    io curo le ferite che tu conti;

    io di mia fede mi fo salvo usbergo

    e tu fra bene e male innalzi ponti.

    Forse ci unisce quello che non siamo

    e vorremmo essere: il perfetto Adamo.

    Joseph Tusiani

     

    A Joseph Tusiani

    Nella giungla di New York

    un nido di poesia.

    Gli dico:

    “Se Dio esiste, 

    al mio tramonto, mi accetterà, 

    perché amo ed aiuto il prossimo

    come Lui comanda”.

    Sorride.

    Accetta.

    Lui ha fede.

    Ha una storia miracolosa.

    I primi vent’anni,

    solo con la sua santa Madre, in Italia.

    L’angosciato genitore tentava la difficile

    avventura Americana.

    Dopo vent’anni di duro lavoro

    invito in America.

    Affetto e tenerezza;

    nasce il fratellino.

    Dal cuore di Joseph Tusiani

    sgorgano fiumi di sofferte poesie.

    Dal dolore nasce bellezza.

    L’eternità della sua poesia.

    Mario Fratti

     

  • Art & Culture

    Gargano: An Intriguing Spot in Apulia

    From the gates of L’Aquila, the beautiful capital of Abruzzo, the ancient cattle-trail led all the way to the city of Foggia in Puglia. Over 300 feet wide and 150 miles long, it was the largest and most important of the five trails connecting Abruzzo with Puglia. For that reason it was known as the Great Cattle-Trail (‘Tratturo Magno’); an arterial road leading the essential traffic of enormous herds of sheep in transhumance towards Puglia’s flat lands. Guided by their shepherds, the sheep descended from the mountains of Gran Sasso, Sirente and Majella to reach the green pastures of Tavoliere delle Puglie, the great and boundless plain at the foot of Gargano. Millions of sheep would descend each year from the plateaus of Abruzzo and Molise to spend their winters there, always finding fresh grass to feed on.

     

    Two thousand years of transhumance

    “September’s come, let’s go: migration time. In the Abruzzi lands my shepherds now are leaving their summer folds: down they climb” (tr. Geoffrey Brock). So begins the charming poem by Gabriele D’Annunzio. The shepherds indeed left with their herds in September, walking for days and days on the route marked out by centuries, dating back to even before the domination of Rome. On reaching the Adriatic Sea and Tavoliere delle Puglie the herds and their shepherds would stay for the whole winter until April, sleeping under the starlit sky. Throughout the long and tiresome journey from the high plateaus, both the animals and their shepherds would often rest next to churches and other places of worship.

    When the first shepherd noticed the sea on the horizon his heart would jump with joy, and then they would continue to walk for days along the marvelous coastline bathed by the emerald Adriatic Sea. Yet the greatest joy for the shepherds was when the green Gargano Promontory could be seen looming on the horizon, like an announcement of their imminent arrival at the final destination. For two millennia, this great highway of earth and grass has united the transhumance of Abruzzo with Tavoliere of Puglia, nourishing a combination of greatly impressive cultures and traditions.

     

    From Tavoliere to Gargano

    The foothills of Gargano begin precisely from Tavoliere—once the land of the ancient Dauni people. This wide, limestone mass creates the perfect shape of a spur on the boot-shaped map of Italy. A vast forest of beech, maple, oak and holm oak trees overlooks the promontory; a green paradise of flora and fauna, today a National Park known as the Foresta Umbra (or Shaded Woods). From the summit of Mount Calvo, 3,460 feet high, the Gargano Promontory often appears to be right on the edge the sea, decorating the coastline with enchanting rocky coves, embroidered by waves, with caves, gorges, cliffs and deep valleys. As a result of these natural marvels and the beauty of the villages that line the shores, the coast is a strong attraction for beach tourism.  

    Tourists and vacationers alike can enjoy the crystal clear waters, the charming villages and the cheerful and welcoming characters of the people who live there. They can also enjoy a richness of flavors from a simple yet ancient cuisine and a prolific flourishing of architecture that tells a thousand-year old history, a place so full of culture and strong spirituality.

    The calcareous nature of Gargano’s land means that little can be used for agriculture. Strips of earth have been allocated to the cultivation of olive groves and grapevines, providing good wines like the typical “Trojan Black” (Nero di Troia), and on the coast there are also citrus groves. Vegetable crops are only grown on the foothills of the promontory and on the shores of Lake Lesina and Lake Varano, almost touching the sea.

    From here we will begin our circumnavigation around the marvels of Gargano, travelling along the coastal road that follows the contour of the promontory, until we reach Manfredonia. We will then go from Mattinata to Monte Sant’Angelo, then to San Giovanni Rotondo before descending to San Marco in Lamis and ending in San Severo.

     

    A tangle of pretty little villages

    The narrow and winding road to Rodi Garganico, a beautiful village nestled on a rocky cliff, will certainly keep you awake. This populous seaside town features a maze of alleyways and is dominated by the Castle and the Church of Santa Maria della Libera, inside of which a beautiful byzantine image of the Virgin Mary can be found. From the marina, hydrofoils depart for the magnificent Tremiti Islands, five small gems of the Adriatic. A little beyond Rodi Garganico you will reach Peschici; old walls surround this ancient village of gray-domed houses, grouped together on an outcrop overlooking the sea.  

    After around 12 more miles you will arrive in Vieste, a magnificent town of white houses clinging to the coastline, narrow cobbled streets leading to stairways and agave covered arches. For centuries this medieval neighborhood has stood boldly on the coarse cliff, yet Vieste was once a Greek colony before becoming a Roman municipium. To resist attacks from the sea, Emperor Federico II built the mighty Castle in defense of the Saracens, later reinforced with pentagonal bastions built by the Spanish. From here—the furthest point east of the promontory—you can admire a marvelous view of the sea and, to the south, the bright coastline of White Beach. At the top of a steep staircase, the central doorway of the splendid Roman Cathedral dominates the scene, dating back to the 11th century.

    Opposite is the Episcopal Palace, with a grand interior of three naves and columns with incredibly thin capitals. The rich late-baroque wooden ceiling hides the original trusses, while other traces of the original structure, having survived fires and earthquakes, can be admired on the north side of the building. Here you will find a magnificent, ornate door decorated with exquisitely crafted bas-reliefs. Vieste is truly enchanting, especially at night when seen from sea.  

    Cruising south along the coast you will reach Manfredonia, a city founded by King Manfredi, son of Federico II. Surrounded by walls, with an orthogonal urban layout and a castle on the edge of the sea, Manfredonia was a flourishing city in Roman, Byzantine and Norman times, before becoming exposed to Saracen invasions.

    The Cathedral is beautiful and inside the Museum of Gargano you will find precious archaeological relics of great interest, dating back as far as Neolithic times. Furthermore, right next to Manfredonia is ancient Siponto where the Siponto saints (“Santi siponti”) originated. In the third century these saints famously climbed back up the cattle-trail to evangelize the people of L’Aquila in Abruzzo.  

    Returning almost as far as Mattinata you will meet the intercepting road that climbs to Gargano, and halfway up is Monte Sant’Angelo. From this town you will discover the beauty of the gulf, and looking to the west the vast clearing of Tavoliere. Monte Sant’Angelo owes its name to St. Michael the Archangel, who appeared here in a grotto in the year 493 while Siponto battled victoriously to defend itself against barbarians. A 13th century sanctuary built on the remains of one of the older temples of Christianity has been dedicated to St. Michael the Archangel. These temples are incredibly beautiful and have been places of strong spirituality for centuries.

     

    The birthplace of Padre Pio, healer and saint of our time

    Now we must climb further still, along the spine of Gargano until we reach San Giovanni Rotondo, home of Padre Pio for many years; the highly esteemed Capuchin monk recently elevated to the altars, but already considered holy for decades.

    Having lived in the convent of San Giovanni Rotondo since 1916, Padre Pio had a large hospital built next-door for the relief of sufferers. Because of the miraculous virtues of Padre Pio, San Giovanni Rotondo immediately became a destination for pilgrims strongly devoted to the monk. This was a phenomenon that grew right up until his death in 1968, and exploded further still afterwards with the start of his process of canonization.

    These days the city has become a destination for pilgrimage and healthcare, with newly established accommodation facilities and hotels for visitors. The original church of the Convent has been joined by an imposing structure designed by famed architect Renzo Piano (designer of many works around the world, including in New York City) to welcome the thousands of pilgrims who every day come to San Giovanni Rotondo to pray around the urn which houses the uncorrupted remains of the Saint.

    Indeed just as in more remote times, even today Gargano is a destination of pilgrimage, characterized for centuries by silence and meditation. These are very common characteristics of internal Abruzzo, a land of contemplation, prayer, hermits and saints. 

    So we can now head back over the old cattle-trail that we followed into the heart of Abruzzo; back to the high plateaus and their long winters, into the charming villages clinging to the mountain slopes, right up to the L’Aquila basin where our journey began, tracing the route of transhumance. A journey of memory that took us into a portion of Puglia; rich in ambiance, beauty, charm and spirituality. Gargano deserves to be visited, for people to discover the extraordinary richness of its endless attractions.

  • Arte e Cultura

    L'Aquila, capitale del Jazz per due giorni

    L’AQUILA – Per due giorni, il 5 e 6 settembre, L’Aquila è tornata ad essere capitale del jazz italiano. Due intense giornate di concerti, con quasi 200 musicisti impegnati a suonare in suggestivi contesti architettonici del centro storico della città, che sta rinascendo man mano dalle ferite inferte dal terremoto del 2009.

    Un grande evento musicale e culturale nel progetto “Il Jazz italiano per le terre del sisma”, ideato e promosso per L’Aquila da Paolo Fresu, che lo ha diretto per cinque anni dalla prima edizione nel 2015, esteso due anni dopo anche agli altri centri colpiti dal sisma del 2016, con il fine di sensibilizzare e rafforzare l’impegno alla ricostruzione nelle terre del cratere sismico delle quattro regioni coinvolte – Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria – grazie al coinvolgimento organizzativo della Federazione Nazionale “Il Jazz Italiano”.

    Quest’anno il testimone lasciato da Paolo Fresu è stato raccolto da tre nuovi direttori artistici, che hanno coordinato il programma e condotto il festival: Ada Montellanico (cantante, musicista e presidente dell’Associazione “Il Jazz va a Scuola”), Simone Graziano (musicista e presidente dell’Associazione Musicisti Italiani di Jazz) e Luciano Linzi (direttore artistico della Casa del Jazz e del Festival JAZZMI). La magnifica kermesse musicale, con il coordinamento operativo dell’Associazione I-Jazz, insieme al Ministero per i Beni e le Attività culturali e per il Turismo (Mibact), al Comune dell’Aquila-Progetto Restart, al main sponsor Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE), a Nuovo IMAIE e ai numerosi partner tecnici coinvolti, inclusa Radio1 Rai media partner della rassegna. 

     

    I concerti - in Piazza Duomo, Parco del Castello, Piazza Palazzo, Piazza Chiarino, Piazza Santa Maria Paganica, Piazza Santa Margherita, Fronte Casa dello Studente, Fontana delle 99 Cannelle, Aula Magna del Dipartimento di Scienze Umane - si sono svolti tutti nel rigoroso rispetto delle norme anti Covid. Come si diceva, quasi duecento sono stati i musicisti impegnati nella rassegna – tra i quali Enrico Intra, Antonello Salis, Simone Zanchini, Stefano Cocco Cantini, Silvia Bolognesi, Ares Tavolazzi, Roberto Ottaviano, Pietro Tonolo, Mauro Ottolini, Fabrizio Bosso, Giovanni Guidi, Marco Colonna, Marcella Carboni, Dario Cecchini, Susanna Stivali, Naomi Berril – con un programma che ha riservato forte attenzione alle nuove generazioni e “al femminile”. Giulio Rapetti, presidente della SIAE e in arte l’insigne Mogol, ha dichiarato: “SIAE sostiene come main sponsor “Il jazz italiano per L’Aquila” sin dalla nascita di questo meraviglioso evento, nel 2015.

    Quest’anno aggiungiamo un importante tassello, per guardare al futuro con una certezza in più e con ottimismo: sottoscrivendo il protocollo d’intesa con il Comune dell’Aquila, la Società Italiana degli Autori ed Editori ha voluto dare un ulteriore segnale concreto di vicinanza a una città che è stata profondamente colpita dal terremoto e che con grande sacrificio e perseveranza sta ricostruendo il suo tessuto vitale. In questo percorso di rinascita la musica ha sempre avuto un ruolo di primo piano. Per confermare il supporto, in un anno così difficile come quello che stiamo tutti vivendo, a un progetto che riesce a coniugare musica e solidarietà, SIAE ha deciso di destinare 300.000 euro al finanziamento delle prossime edizioni della manifestazione. In base ai dati SIAE relativi al 2019 – ha concluso Mogol –, il jazz vede incrementi superiori al 4% degli indicatori economici, attinenti alla spesa al botteghino e alla spesa del pubblico, mentre gli ingressi hanno fatto registrare una crescita di oltre 5 punti percentuali. L’augurio è proprio che il legame che si è creato tra il jazz e la città dell’Aquila si rafforzi e che questo genere musicale possa rappresentare sempre più una determinante opportunità artistica per il patrimonio culturale italiano”.

     

    Notevole, come sempre, il successo riservato alla rassegna jazz aquilana, significativi gli apprezzamenti per l’organizzazione impeccabile, per la qualità musicale, ma anche riguardo le misure di sicurezza e distanziamento adottate contro la pandemia. E tuttavia la star indiscussa nei due giorni di eventi nella città capoluogo d’Abruzzo è stata una perla dell’architettura settecentesca aquilana, Palazzo Ardinghelli, inaugurato nella mattinata di sabato 5 settembre ed eccezionalmente aperto alle visite. Nei due giorni di sabato e domenica ben oltre 600 le visite guidate dagli studenti dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila, che hanno permesso a gruppi di visitatori, locali e d’ogni parte d’Italia, d’ammirare il restauro dello stupendo palazzo barocco che, tra un paio di mesi, aprirà come sede museale MAXXI L’AQUILA.

     

    Dunque sabato 5 settembre è stata un’altra data storica nella rinascita dell’Aquila. Un palazzo straordinario è stato restituito alla comunità aquilana e non solo. Un pezzo di storia della città torna a vivere e ad interagire con il territorio. Un gioiello del barocco aquilano che rinasce dopo un attento restauro e diventa polo della creatività contemporanea e laboratorio di futuro. Un esempio ammirevole di collaborazione internazionale e tra le istituzioni. Un contributo alla ricostruzione della città dopo il terremoto del 2009, all’insegna della cultura. Tutto questo è MAXXI L’AQUILA, progetto che ha visto il Ministero per i Beni Culturali e il Turismo e la Fondazione MAXXI - di concerto con il Comune dell’Aquila, la Regione Abruzzo e le istituzioni del territorio tra cui l’Università, il Gran Sasso Science Institute, l’Accademia di Belle Arti, l’Istituzione Sinfonica Abruzzese, il Teatro Stabile ed altre ancora - impegnati insieme per un grande obiettivo. Quello di contribuire al rilancio del territorio ferito dal sisma attraverso la cultura, recuperando con un sapiente restauro Palazzo Ardinghelli, il magnifico palazzo settecentesco devastato dal terremoto, restituendolo alla suggestiva bellezza barocca dei suoi spazi luminosi, multiformi e avvolgenti, e offrendolo alla comunità come nuovo luogo collettivo, una piattaforma di creatività culturale, aperta e condivisa, al servizio della rinascita della città. 

     

    Il restauro di Palazzo Ardinghelli, realizzato grazie al generoso contributo della Federazione Russa e frutto di otto anni di certosino lavoro degli esperti e dei tecnici dei Beni culturali del territorio, è stato presentato a L’Aquila nella mattinata di sabato 5 settembre in un incontro all’aperto davanti al Palazzo, in Piazza Santa Maria Paganica, da pochi giorni dotata di un nuovo impianto di illuminazione che ne fa risplendere la bellezza anche di sera, ulteriore contributo alla riqualificazione urbana. Alla cerimonia inaugurale, introdotta da Margherita Guccione, Direttore generale per la creatività contemporanea del Mibact e Pietro Barrera, Segretario generale della Fondazione MAXXI, sono intervenuti Anna Laura Orrico, Sottosegretario del Ministero per i Beni e le Attività culturali e per il Turismo; i Consiglieri dell’Ambasciata della Federazione Russa in Italia Alexey Fadeev e Konstantin Belyaev; Stefano D’Amico, Segretario regionale del Mibact    per l’Abruzzo; Alessandra Vittorini, Soprintendente Archeologia, Belle arti e Paesaggio per la città dell’Aquila e i Comuni del Cratere; Marco Marsilio, Presidente della Regione Abruzzo; Pierluigi Biondi, Sindaco dell’Aquila; Giovanna Melandri, Presidente Fondazione MAXXI. Presenti inoltre Hou Hanru, Direttore artistico del MAXXI, e Bartolomeo Pietromarchi, Direttore del MAXXI Arte che curerà la mostra inaugurale. 

     

    Come nel dettaglio chiarisce una nota congiunta degli uffici stampa del MAXXI e del Segretariato Regionale Abruzzo del Mibact, Palazzo Ardinghelli, storica dimora dell’omonima famiglia d’origine toscana, è considerato uno dei massimi esempi del barocco aquilano, l’unico nella regione che ha la facciata con balconata a quota variata. Situato in pieno centro storico, fu edificato tra il 1732 e il 1743, dopo il devastante terremoto che nel 1703 distrusse la città.

    Progettato dall'architetto romano Francesco Fontana, figlio del più celebre Carlo, è caratterizzato da un cortile porticato da cui parte lo scalone monumentale di derivazione borrominiana, sovrastato dai dipinti datati 1744 dell’artista veneto Vincenzo Damini, che rappresentano i Quattro Continenti e l’Aurora. Proprio la corte interna che attraversa l’edificio, collegando piazza Santa Maria Paganica e via Garibaldi, renderà il museo uno spazio pubblico aperto alla città, creando un ideale parallelo con la piazza del MAXXI a Roma, disegnata da Zaha Hadid, che unisce due aree del quartiere Flaminio. Nelle prime due sale del piano nobile del Palazzo fanno bella mostra due camini monumentali. Dalla parte opposta, invece, dopo il Salone principale, oggi Sala della Voliera, e una teoria di stanze incastonate una dentro l’altra, il cerchio di un ideale percorso si conclude con la Cappella di famiglia, dove sarà esposta l’opera pensata appositamente dal maestro Ettore Spalletti. 

     

    Dopo la morte di Filippo Ardinghelli, in assenza di eredi, per il Palazzo iniziarono secoli di progressivo degrado. Alla fine del secolo scorso, ha ospitato prima gli Uffici della Pretura, poi l’Anagrafe del Comune, sino a essere venduto al Demanio dello Stato e nel 2008 affidato al Mibact. Il terremoto del 2009 danneggiò gravemente la struttura del palazzo, che già versava in una generale condizione di abbandono. La forte scossa della notte del 6 aprile causò il ribaltamento delle pareti del cortile e il crollo parziale del porticato, oltre a diversi danni all’apparato dei saloni del piano superiore, dovuti al massiccio crollo in diversi punti della copertura. Con la corsa alla solidarietà internazionale verso la città colpita dal disastroso terremoto, accentuatasi dopo i lavori del G8 che si tenne a L’Aquila nel luglio del 2009, il Governo della Federazione Russa individuò due beni monumentali da adottare per garantirne il restauro, destinandovi una generosa donazione di complessivi 9 milioni di Euro: la Chiesa di San Gregorio Magno, nella frazione di San Gregorio e, nel cuore dell’Aquila, proprio Palazzo Ardinghelli, per il quale è stato utilizzato parte del contributo russo pari a 7,2 milioni di Euro ed altri 3 milioni circa stanziati dal Governo italiano.

    I tecnici del Mibct hanno sottoposto il Palazzo a un sapiente intervento di restauro conservativo, consolidamento e miglioramento sismico. Il restauro ha anche restituito le continuità interrotte già prima del terremoto, come la sequenza androne-corte-accesso posteriore, recuperata nelle sue valenze figurative e architettoniche. Anche questo restauro ha riservato “sorprese”, con ritrovamenti che sottolineano la stratificazione dell’edificio, come le pietre d’un antico portale, o un dipinto che raffigura due putti sul soffitto d’una delle stanze, o ancora le decorazioni che s’intravedono sulle pareti esterne del cortile. 

     

    L’imponente e raffinata cifra di Palazzo Ardinghelli, l’innata sua spazialità che crea un naturale percorso nella successione dei saloni e delle stanze, ha fatto sì che il Ministro per i Beni culturali Dario Franceschini, in visita a L’Aquila nel 2014, vedesse l’edificio già destinato a diventare uno spazio espositivo d’eccellenza. Da quella prima suggestione è nato il progetto di MAXXI L’AQUILA, uno spazio dedicato alla creatività contemporanea nel pieno della storia della città, in uno dei suoi monumenti più affascinanti. Palazzo Ardinghelli, magistralmente restaurato, sta quindi per diventare un centro vivo di cultura non solo per la città dell’Aquila, tappa concreta d’un processo di recupero del patrimonio che ruota intorno al valore sociale, inclusivo ed identitario dei beni culturali, legandoli a una loro vitale e quotidiana fruizione, per dare senso e contenuto ai luoghi restaurati. 

     

    MAXXI L’AQUILA sarà inaugurato il prossimo 30 ottobre 2020, alla presenza del Ministro dei Beni culturali Dario Franceschini e dell’Ambasciatore della Federazione Russa in Italia Sergey Razov, con la partecipazione di Cassa Depositi e Prestiti, che ha supportato la realizzazione degli apparati tecnologici per la nuova funzione museale del Palazzo. Il progetto espositivo è stato pensato per valorizzare fin da subito l’architettura del Palazzo, in relazione con le committenze realizzate appositamente da cinque importanti artisti italiani individuati dal Ministero nel 2015: Elisabetta Benassi, Daniela De Lorenzo, Nunzio, Alberto Garutti e il maestro Ettore Spalletti, recentemente scomparso, cui è dedicato uno degli spazi più suggestivi.

    A queste opere si aggiunge il progetto di Anastasia Potemkina, giovane artista russa, prodotto in collaborazione con la VAC Foundation di Mosca e realizzato con la partecipazione dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila, come primo passo per valorizzare il dialogo tra artisti russi e italiani. Un'attenzione speciale è data alla fotografia, con la committenza affidata a Paolo Pellegrin e dedicata a L'Aquila, e quella affidata a Stefano Cerio, dedicata al territorio abruzzese. 

     

    Questo denso percorso sarà integrato e rafforzato da una selezione di opere provenienti dalle collezioni di arte, architettura e fotografia del MAXXI scelte per la loro capacità di riflettere sugli ambiti spaziali ideali e materiali che determinano il luogo o ne sono determinati. La mostra è quindi occasione per esplorare e sperimentare tutti gli spazi del museo, dalla corte allo scalone principale, dalla cappella alla teoria di sale espositive che si susseguono senza soluzione di continuità, in un itinerario che da un lato guarda allo straordinario lavoro di restauro realizzato per restituire l’edificio alla città e al pubblico, dall’altro accompagna le riflessioni sul sodalizio tra la luce, il colore, lo spazio e l’ambiente e la sua percezione, in una scala urbana e territoriale tra il visionario e l’utopico, attraverso i lavori di autori quali Monica Bonvicini, Maurizio Cattelan, Enzo Cucchi, Bruna Esposito, Giulio Paolini, Piero Manzoni, Maurizio Nannucci, Liliana Moro, Sou Fujimoto, Superstudio, Giovanni Michelucci, Bernard Khoury, Yona Friedman, Guido Guidi, Giovanni Chiaramonte, Olivo Barbieri, Allora & Calzadilla. 

     

    Legittime, dunque, le dichiarazioni di soddisfazione espresse nel corso della cerimonia inaugurale da tutti gli intervenuti, in una luminosa mattinata di sole che faceva risplendere la pietra bianca della facciata del Palazzo, in contrappunto all’impareggiabile azzurro d’un cielo terso quale L’Aquila sovente sa regalare. Per brevità riportiamo solo uno stralcio dell’intervento del sindaco Pierluigi Biondi e dell’arch. Alessandra Vittorini, Soprintendente per L’Aquila e cratere. “La restituzione alla comunità di Palazzo Ardinghelli e l’istituzione della sede aquilana del MAXXI – ha dichiarato il sindaco Biondi - segnano un determinante punto di svolta nella narrazione del complesso ma entusiasmante percorso di rinascita intrapreso all’indomani del sisma del 2009. L’eleganza, la bellezza e l’arte sono elementi complementari ai processi di ricostruzione materiale di una città fiera della sua tradizione storica, alla base della candidatura a Capitale Italiana della cultura 2022”.

     

    Molto argomentato l’intervento conclusivo diella Soprintendente Alessandra Vittorini, che da 8 anni guida con eccezionale carisma l’équipe dei tecnici impegnati, per la parte che compete alla struttura che dirige, il complesso lavoro della ricostruzione dell’Aquila e dei centri del cratere sismico. Particolarmente del centro storico dell’Aquila, meravigliosa città d’arte che ha il 70% del suo straordinario patrimonio architettonico entro le mura urbiche soggetto all’attenzione della Soprintendenza. Un’opera rilevante, consapevole non solo del valore della ricostruzione materiale della città capoluogo d’Abruzzo, ma anche del profondo significato civile, culturale ed identitario che essa rappresenta per l’intera comunità aquilana. “Nella complessa ricostruzione che ci vede impegnati da oltre dieci anni, in una città che da sette secoli crolla e rinasce su sé stessa – ha affermato tra l’altro la Soprintendente Alessandra Vittorini – questo luogo offre oggi le sue inedite meraviglie pienamente recuperate grazie a un restauro attento e rigoroso. La sorprendente sequenza che attraversa la corte semicircolare e si fa strada urbana, lo scalone monumentale, i saloni e i fluidi spazi interni compongono un insieme di suggestiva bellezza. Tutto ciò è il frutto di attenzione e rigore, dedizione e competenza tecnica di cui dobbiamo essere grati a tutti i protagonisti che ne hanno accompagnato il recupero. Ringrazio quindi, per la Soprintendenza, Franco De Vitis e Biancamaria Colasacco. E tutta la nostra squadra che opera dal 2009 nel difficile scenario cittadino.

    È grazie al loro lavoro che oggi stiamo riscoprendo nel passato le radici per il nostro futuro, in un percorso costante e progressivo che ha visto nel centro storico e nel patrimonio culturale i luoghi di una nuova e ritrovata identità, di una appartenenza collettiva fatta di memoria e di rinascita”. Ricordato, infine, l'architetto Claudio Finarelli che, in qualità di Responsabile unico del procedimento nei lavori di restauro di Palazzo Ardinghelli, aveva impegnato il suo consueto bagaglio d’esperienza e saggezza per raggiungere questo risultato. Un destino avverso gli ha impedito di vederne il felice esito.

     

    Solo un’annotazione, di chi scrive, a commento del significativo evento inaugurale di Palazzo Ardinghelli. La magnificenza e la bellezza del Palazzo stride con la condizione della Chiesa di Santa Maria Paganica, sofferente d’un penoso degrado nelle lacerazioni inferte dal terremoto del 2009, ancora lontana dal suo restauro. Ancor più mortificante perché al Palazzo, restaurato grazie ad una donazione della Russia, fa da contrappunto la chiesa frontistante, che aveva avuto la promessa d’una donazione di 4,5 milioni dagli Stati Uniti nel luglio 2009, promessa cui purtroppo non è stato dato seguito, neanche con soluzioni diverse da quella annunciata. Giova qui ricordare che la Francia ha contribuito per 3,250 milioni di Euro al restauro la Chiesa di Santa Maria del Suffragio, la Germania ha finanziato per 3 milioni di Euro il restauro della Chiesa di San Pietro Apostolo ad Onna, lodevolmente il Kazakistan ha finanziato d’iniziativa, per un importo di 1,7 milioni di Euro, il restauro dell’Oratorio di San Giuseppe dei Minimi. Anche Canada, Giappone e Australia, con specifiche donazioni, hanno contribuito a realizzare nuove opere con destinazione culturale, sociale, sportiva e universitaria. Cadute invece nel vuoto anche le promesse di Spagna e Gran Bretagna. Sicché Santa Maria Paganica, con un insufficiente finanziamento dello Stato italiano di 5 milioni e in attesa di ulteriori fondi a copertura della spesa presunta in circa 20 milioni di Euro per il suo restauro, resta ancora nel suo attuale stato di lacerazione, lanciando al cielo il suo grido di dolore. 

     
  • The Cathedral of Syracuse
    Art & Culture

    Under the Spell of Baroque Sicily

    As you turn from scanning the Tyrrhenian to the peaks of Mount Peloritani flitting by, the airplane begins its descent into Catania. In a few minutes the commanding profile of Etna appears, a feathery white cloud hovering on top. Or maybe it’s smoke. We should respect the volcano; despite the headaches its eruptions can cause, it is still part of our heritage. Viewed from above, Etna really is a wonder, with its lava blackened summit and lush green base at the start of summer. The surrounding volcanic earth yields savory red and white wines with earthy flavors. Like a gendarme, Etna watches over the splendid city of Catania, which merits a visit, but we’ll have to save that for another day. This time we’re headed to the southwest of Sicily.

    A Trip Through Time

    Our friends from Modica are waiting for us in the airport. All it takes is a quick meal in a little restaurant on the outskirts of town for Sicily to welcome us with a waft of flavors: pasta with sardines and a fennel aroma washed down with an excellent white wine from Etna, grilled swordfish, and for dessert a slice of Sicilian cassata and good coffee. 

    Next we hit the highway in the direction of Syracuse. The bright sun casts a golden light over the citrus fields and vegetable plots in this lush, fertile soil. The vibrantly lit oleanders in bloom flank the black top until to our left there appears a skyline of chemical plants that signal we’ve reached Augusta. The port city sits on the northern end of the bay, and in the center of the gulf shine the ancient remains of Megara Iblea. Founded in the eighth century BC by Greek colonists from Attica, there are still vestiges of the city wall, agorà, temple to Aphrodite and thermal baths. You can also visit an “antiquarium” to see the ruins and grave goods of the colony’s necropolis. On the southernmost point of the gulf stand the remains of Thapsos, which dates back to the Bronze Age.

    Fifteen minutes down the road there emerges on the horizon a peak, almost a pyramid. That’s the sanctuary of the Madonna delle Lacrime, a radically designed circular temple, at the entrance of Syracuse. We can’t stop long because our destination is the old city on the island of Ortygia. Syracuse shoulders a millennial-old history. It was founded back in 734 BC by Greek settlers from Corinth. One of the major Hellenistic cities, in terms of power and wealth, Syracuse was a competitor of Athens, which tried in vain to subjugate the city, and the main rival of the Phoenician city Carthage. Only Rome succeeded in conquering it, in 212 BC, and not without difficulty. A hub of artists, philosophers and scientists, Syracuse was the birthplace of Archimedes and a destination for illustrious figures, like Plato, who visited three times, Aeschylus, Pindar and Xenophone. Cicero later lauded it as the most beautiful Greek city. In successive centuries, it became an intersection of peoples and conquerors: Angevins, Arabs, Aragonese, Byzantines, Normans and Swedes. This melting pot phenomenon led to Sicily’s extraordinary hybrid of civilizations.

    A Real Gem

    Our first stop is to admire the ancient Doric temple of Apollo at the entrance of Ortygia. Throngs of tourists enliven the maze of narrow streets running through the island, granting it the kind of grandeur that only cities with a long history can summon. We follow the crowds streaming by, browsing for glass souvenirs, until to our right we spot a wide paved road leading to the heart of the city and a broad rectangular piazza. There we glimpse the magnificent Cathedral built over the ruins of a Doric temple of Athena, the Municipal Palace, the Episcopal Palace, the Church of Santa Lucia alla Badia, and other elaborately designed palazzos. The Cathedral combines a number of styles: its facade ranges from the baroque to rococo periods, and its interiors has everything from Greek ruins to Norman built medieval sections. But we’re headed straight for the Church of Saint Lucy – she was born here and is the city’s patron saint – to admire Caravaggio’s large canvas, the Burial of St. Lucy, a masterpiece by the great artist of light.

    This splendid city harbors many other jewels for tourists, but our time is running out. We hop back on the road and in no time reach Avola. It lies on our left, near the sea. The city is renowned for its almonds and, especially, “Nero d’Avola,” a full-bodied red wine with hints of cherries and prunes, best grown in the coastal stretch between Avola and Pachino. We speed off in the direction of Noto. We would be remiss not to make a pit stop in the baroque capital of Sicily. Noto was entirely rebuilt on a new site after the devastating earthquake of 1673. We enter through the Porta Reale onto Corso Vittorio Emanuele. The Church of Santa Chiara, magnificent palazzos, monumental staircases, Palazzo Ducezio, Cathedral, and the Churches of San Carlo and San Domenico rise up in all their beauty, lit by the setting sun. The city, a world heritage site, is a real gem. Its beauty is intoxicating. We have just enough time for a refreshing granita and cannoli—the out-of-this-world and not-to-be-skipped sweet here.

    “The Most Unique City Outside of Venice”

    There’s a pleasant sense of anticipation en route to Modica, especially when the highway ends abruptly in Rosolini and merges with a minor arterial road. No problem. Actually, it allows us to get a better glimpse of the landscape in this part of Sicily, as we cross the Hyblaean Mountains, an expansive rocky tableland. The fields show off the variety of the island’s agronomy: vineyards, orchards, olive groves and leafy carob trees fleck the earth that alternates green vegetable patches with golden wheat ready for harvesting. The series of fields are fenced off by orderly stonewalls, made with stones that have been gathered from the earth and carefully assembled by generations of farmers, as their colors attest. The stunning panoramic stonewalls form a dense labyrinth of property lines, a harmonious mix of working farmland where cows, sheep and goats graze. The air is clean. The clear sky is an intense blue.

    Near Ispica, the limestone has been deeply scored by coursing water for millennia. Dense brush gives it a wild look. The deep grooves in the rock are called “cave.” The cliff walls often face grottoes. Prehistoric people emerged from these caverns, as was revealed by the necropolises in Pantalica and Cava d’Ispica, which date back 2200 years before Christ. Important ruins and rock paintings have been discovered here, while a third century bronze statue of Hercules, now housed in the civic museum, was found on the outskirts of Modica. Speaking of Modica, we’ve almost arrived.

    After a series of windy curves, the profile of the “città alta” emerges, dominated by the Church of Saint John above and a little farther down by the majestic facade of the Cathedral of Saint George. The city is really something, jutting from either side of two canyons that were hollowed out over millennia by a pair of streams that merged below, in today’s “città bassa.” Modica’s special urban design explains its designation as “the most unique city outside Venice” for its intricate network of stairs and narrow alleys that snake up the four surrounding hills.

    UNESCO World Heritage Site

    The urban design is utterly affecting, quilted as it is by a hundred or so late baroque churches, noble family palazzos, monasteries, and various convents, which have impacted the cultural life of the city for centuries. Modica has been recognized by UNESCO for its architectural value. Founded in 1360 BC, the city experienced a golden age around 1296, when King Frederick II of Aragon appointed Manfredi Chiaramonte Count of Modica. For centuries the County of Modica was the largest, richest and most powerful feudal state on the island. In Sicily, the figure of the Count of Modica also happened to be the King’s Viceroy. And the Chiaramonte family enjoyed uncontested prestige, partly because the family descended from Charlemagne.

    But on January 11, 1693, tragedy struck. The entire county was hit by a devastating earthquake that reverberated over a wide swath of southwestern Sicily, as far north as Catania, destroying cities and castles. 100,000 died. Yet the area was quickly rebuilt and the cities emerged more beautiful than before. In fact, the greatest Sicilian architects – Rosario Gagliardi, Paolo Labisi, Vincenzo Sinatra and others – were operating at that time. These sophisticated artists and expert artisans breathed new life into Sicilian baroque. Their best works have been recognized by UNESCO, as have the cities of Caltagirone, Catania, Militello, Modica, Noto, Palazzolo Acreide, Ragusa and Scicli.

    A stupendous example of baroque Sicily, Modica is now a beautiful city with 55,000 inhabitants. Nobel laureate Salvatore Quasimodo was born here in 1901, and it is the city of chocolate. Beloved the world over, Modica chocolate is specially prepared. There are many manufacturers, but there is one in particular worth singling out: Casa don Puglisi. The manufacturer uses proceeds from its chocolate and candy production to help support its namesake shelter and community center. Our tour ends in Scicli, another pearl studding this corner of Sicily, all the more precious for its magnificent churches and superb baroque buildings, including Palazzo Beneventano and Palazzo Civico. The latter is well known as Inspector Montalbano’s police station in RAI’s film adaptations of the famous novels by Andrea Camilleri.  

  • Arte e Cultura

    Con il mondo anche l'Aquila piange Ennio Morricone

    L’AQUILA – L’Aquila piange per la scomparsa del Maestro Ennio Morricone, deceduto nella notte in una clinica romana dove era stato qualche giorno fa ricoverato per la frattura del femore. Un comunicato della famiglia, che informa della morte del grande musicista e compositore, annuncia anche che nel rispetto del sentimento di umiltà che ha sempre contraddistinto ogni momento della sua esistenza le esequie avranno forma strettamente privata. Aggiunge anche che la sua dipartita, con i conforti della Fede, è avvenuta “in piena lucidità e grande dignità” fino all’ultimo respiro, avendo egli potuto salutare l’amata moglie Maria e ringraziando figli e nipoti per l’amore e la cura che gli hanno riservato. Ennio Morricone il prossimo 10 novembre avrebbe compiuto 92 anni.

     

    Grande emozione e commozione accompagna la scomparsa di Ennio Morricone, Cittadino onorario dell’Aquila, un grande amico della città capoluogo d’Abruzzo, egli “Aquilano onorario” insieme ad Arthur Rubinstein e Goffredo Petrassi per la Musica, come Vittorio Storaro lo è per il Cinema e Antonio Calenda per il Teatro, tre settori dove la vocazione culturale dell’Aquila si è espressa a livelli di riguardo nel panorama nazionale e internazionale. Due volte insignito del premio Oscar dall’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, nel 2007 alla Carriera e nel 2016 per le musiche del film The Hateful Height di Quentin Tarantino, Ennio Morricone ha ammaliato con le sue straordinarie musiche gli appassionati del Cinema connaturando con le sue note tanti capolavori della settima arte, come Per un pugno di dollari, Il buono il brutto e il cattivo, C’era una volta il West, Indagine su un cittadino al di sopra d’ogni sospetto, Mission, C’era una volta in America, Nuovo cinema Paradiso, Sacco e Vanzetti, La sconosciuta.

     

    Oggi vorrei però ricordare tutto l’amore che il Maestro Morricone ha sempre nutrito verso la nostra città. Diverse volte egli è stato all’Aquila, a dirigere applauditissimi concerti, nel giorno memorabile del conferimento della Cittadinanza onoraria, come pure nell’immediatezza del tragico terremoto del 2009, quando venne a visitare la città ferita, con una profonda sensibilità verso gli aquilani. Mi piace anche ricordare l’indimenticabile giornata che il Maestro passò a L’Aquila quando fu presentata la preziosa biografia Morricone. Cinema e oltre, scritta da Gabriele Lucci ed edita da Electa/Accademia dell’Immagine, uno dei gioielli di quelle collane di monografie e dizionari del cinema realizzati dalla Sezione Editoria dell’Accademia dell’Immagine sotto la direzione di Lucci. Uno splendido volume, così ricco di testimonianze sull’opera del Maestro, con una serie di frammenti di partiture autografe e con grande ricchezza di richiami alla sua creazione musicale, oltre il cinema. Quasi tre anni di lavoro Gabriele Lucci impiegò per quell’opera, con numerose giornate passate nello studio del grande musicista, vincendo la sua naturale riservatezza. 

     

    Quel 26 novembre 2007, il Cinema Massimo pieno come un uovo, rispondendo alle domande di Lucci, il Maestro Morricone raccontò molti aneddoti della sua vita professionale e tante testimonianze. Infine rivelò le sue predilezioni per Bach, Frescobaldi, Monteverdi e Giovanni da Palestrina, ma anche per Strawinski, Nono e Petrassi, mentre sul grande schermo scorrevano i fotogrammi dei più noti film ai quali Morricone ha dato le sue indimenticabili musiche. L’Oscar finalmente conferito al Maestro Morricone per il film di Quentin Tarantino, dopo ben 5 candidature, s’aggiunse al copioso palmares di riconoscimenti (tra cui il Grammy Award, 3 Golden Globe, 6 Bafta, 10 David di Donatello, 10 Nastri d’Argento, e numerosissimi altri premi) tributatigli nel corso della sua lunga carriera. Musicista tra i più versatili, sensibili e raffinati, sin dai primi lavori diede prova di raggiungere vette qualitative impensabili. Anche se solo nel 1961, con il film Il federale di Luciano Salce, Ennio Morricone avvia la sua splendida avventura con una sequela di straordinarie composizioni che ha impresso il suo estro sul cinema mondiale, regalando all’umanità le più belle pagine di musica sposata alla settima arte. 

     

    Ennio Morricone, nato a Roma il 10 novembre 1928, a 10 anni inizia a frequentare il Conservatorio di Santa Cecilia nella classe di Tromba di Umberto Semproni. L’insegnante di Armonia complementare, Roberto Caggiano, ne intuisce le precoci doti e gli suggerisce di concentrarsi negli studi di Composizione, che comincerà nel 1944. Due anni più tardi si diploma in tromba, avendo i primi ingaggi come strumentista e arrangiatore nel teatro di rivista e poi la prima commissione per la composizione di musiche di scena per il teatro di prosa. Nel 1952 consegue il diploma in strumentazione per banda e due anni dopo consegue il diploma in Composizione sotto la guida del maestro Goffredo Petrassi. Ma è nel 1955 che Ennio Morricone avvia quella che sarà la sua più spiccata propensione, iniziando ad arrangiare musiche per il cinema e a collaborare come arrangiatore nei varietà televisivi. Nel 1961 compone la sua prima colonna sonora per il film "Il federale" di Luciano Salce. 

     

    Tre anni più tardi nasce il sodalizio destinato a segnare un’epoca: la collaborazione con il regista Sergio Leone e il suo cinema western (Per un pugno di dollari, 1964 - Il buono, il brutto e il cattivo, 1966) che gli darà grande fama. Con Sergio Leone firmerà anche la colonna sonora del pluripremiato C'era una volta in America. L'attività di arrangiatore per l'etichetta Rca, già intensa da anni, in questo periodo raggiunge i massimi livelli. Dopo essere stato membro della Giuria al XX Festival internazionale di Cannes, Morricone riduce sensibilmente l’attività di arrangiatore a vantaggio delle musiche per il cinema. Ne firmerà a decine nel giro di pochi anni e oltre 400 in tutta la sua lunga e prestigiosa carriera, nel corso della quale ha collaborato con grandi registi italiani, quali Bernardo Bertolucci (Prima della rivoluzione, 1964 - Partner, 1968), Marco Bellocchio (I pugni in tasca, 1965 - La Cina è vicina, 1967), Vittorio De Seta (Un uomo a metà, 1966), Giuseppe Patroni Griffi (Un tranquillo posto di campagna, 1968 - Metti una sera a cena, 1969), Pier Paolo Pasolini (Uccellacci e uccellini, 1966 - Teorema, 1968), Gillo Pontecorvo (La battaglia di Algeri, 1966), Carlo Lizzani (Mussolini ultimo atto, 1974) e Dario Argento. Oltre a numerosi registi internazionali, come Brian De Palma e Oliver Stone. 

     

    Nel 1992 il Ministro francese della Cultura, Jack Lang, gli conferì il titolo di Officier de l'Ordre des Arts ed des Lettres – cui si è aggiunta nel 2009 la Legion d’Onore -  e nel ‘94 Ennio Morricone è stato il primo compositore non americano a ricevere il Premio alla carriera dalla Society for Preservation of Film Music. Notevole anche il suo impegno culturale: nel 1995 con Uto Ughi, Vittorio Antonellini e Michele Campanella fu tra i relatori in un importante convegno sui problemi della musica, organizzato dal Comitato Autonomo Musicisti Italiani al Teatro dell'Opera di Roma. In quello stesso anno il Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, gli conferì l'onorificenza di Commendatore dell'Ordine al Merito della Repubblica. 

     

    Dal 2002 Ennio Morricone aveva avviato un’altra branca della sua vita artistica dedicandosi in modo particolare alla direzione d’orchestra. L'11 settembre 2004, all’Arena di Verona, il più importante teatro all'aperto del mondo, Morricone diresse un concerto "contro tutte le stragi della storia dell'umanità", presentando in prima assoluta la sua composizione Voci dal silenzio. Memorabili i concerti diretti da Ennio Morricone a L’Aquila con l’Orchestra Roma Sinfonietta, alla Perdonanza del 2001 e nel novembre 2009 all’Auditorium della Scuola della Guardia di Finanza. Ennio Morricone lascia alla cultura e alla musica mondiale un grande patrimonio di straordinarie partiture. L’Aquila lo ricorderà per l’amore sincero che Egli ha nutrito verso la città, espresso in gesti di rara sensibilità, garbo e raffinatezza, espressione della gentilezza discreta tipica del grande Maestro, Aquilano onorario per sempre. 

     

  • Fatti e Storie

    2 giugno: omaggio dell’ANPI alle 21 Madri costituenti. Il ricordo di Maria Federici

    L’AQUILA - Il 2 giugno 1946 l’Italia votò il referendum istituzionale: Monarchia o Repubblica. Scelse la Repubblica, con quasi 2 milioni di voti in più. Nello stesso giorno si votò per eleggere l’Assemblea costituente. Quel giorno in cui s’esercitò il suffragio universale votarono anche le donne, la prima volta nella storia d’Italia, e finalmente poterono essere elette in Parlamento. Su 556 deputati dell’Assemblea furono elette 21 donne: 9 della Democrazia cristiana, 9 del Partito comunista, 2 del Partito socialista e 1 dell’Uomo qualunque. Ricordiamole con i loro nomi, che sono incisi nella storia della nostra Repubblica: Adele Bei, Bianca Bianchi, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Maria De Unterrichter, Filomena Delli Castelli, Maria Federici, Nadia Gallico, Angela Gotelli, Angela Maria Guidi, Leonilde Iotti, Teresa Mattei, Angelina Merlin, Angiola Minella, Rita Montagnana, Maria Nicotra, Teresa Noce, Ottavia Penna, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi, Vittoria Titomanlio.

     

    “Alcune di loro – annota una pubblicazione del Senato sulle 21 Madri costituenti - divennero grandi personaggi, altre rimasero a lungo nelle aule parlamentari, altre ancora, in seguito, tornarono alle loro occupazioni. Tutte, però, con il loro impegno e le loro capacità, segnarono l’ingresso delle donne nel più alto livello delle istituzioni rappresentative. Donne fiere di poter partecipare alle scelte politiche del Paese nel momento della fondazione di una nuova società democratica. Per la maggior parte di loro fu determinante la partecipazione alla Resistenza. Con gradi diversi di impegno e tenendo presenti le posizioni dei rispettivi partiti, spesso fecero causa comune sui temi dell’emancipazione femminile, ai quali fu dedicata, in prevalenza, la loro attenzione. La loro intensa passione politica le porterà a superare i tanti ostacoli che all’epoca resero difficile la partecipazione delle donne alla vita politica.

     

    Il 2 giugno l’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) in tutto il Paese ricorderà le 21 Madri costituenti con un gesto di grande significato politico: un omaggio floreale per sottolineare il loro contributo nella stesura della nostra Costituzione e poi nelle istituzioni della democrazia repubblicana. Due le Madri costituenti abruzzesi elette il 2 giugno di 74 anni fa: Maria Agamben Federici (L’Aquila, 1899 – Roma, 1984) e Filomena Delli Castelli (Città Sant’Angelo, 1916 – Pescara, 2010). Dunque assai significativo il modo scelto quest’anno dall’ANPI nazionale per celebrare la Festa della Repubblica: ricordare le 21 donne dell’Assemblea Costituente e rendere loro onore con un gesto sobrio ma fortemente simbolico, portando fiori là dove riposano o dove esistono testimonianze che ne richiamino l’opera.

     

    L’ANPI provinciale dell’Aquila, con il suo presidente Fulvio Angelini e una ristretta delegazione dell’associazione, il 2 giugno alle ore 11, nel Cimitero monumentale della città capoluogo deporrà un omaggio floreale a Maria Agamben Federici, nella cappella di famiglia dove è sepolta. Altrettanto farà l’ANPI di Pescara verso l’altra Madre costituente abruzzese, Filomena Delli Castelli, poi parlamentare nelle prime due Legislature e sindaco di Montesilvano dal 1951 al 1955, tra le prime donne ad essere eletta sindaco d’una città. Un’opera sapiente e illuminata, talvolta di frontiera, quella di Filomena Delli Castelli alla guida di Montesilvano, per la quale subì anche un’emarginazione nel partito in cui militava, la Democrazia Cristiana. Un’opera illuminata che, forte dei suoi principi, continuò nella vita di docente e di giornalista Rai.

     

    Ora qualche annotazione sulla deputata aquilana nell’Assemblea costituente Maria Agamben Federici. Nata a L’Aquila il 19 settembre 1899 da famiglia benestante, laureata in lettere, docente e giornalista, Maria Agamben sposa nel 1926 Mario Federici, anch’egli aquilano, drammaturgo ed affermato critico letterario, tra le personalità più insigni della cultura abruzzese del Novecento. Negli anni della dittatura fascista lascia l’Italia insieme al marito e va all’estero ad insegnare negli Istituti italiani di cultura, dapprima a Sofia, poi al Cairo e infine a Parigi. Cattolica impegnata, profonda fede nei valori di libertà e democrazia, la Federici matura la sua formazione influenzata dal pensiero cristiano sociale – soprattutto di Emmanuel Mounier e Jacques Maritain – che avrebbe connotato profondamente la filosofia e la politica dello scorso secolo. Esperienza significativa quella vissuta all’estero dalla Federici, nella consapevolezza del valore della libertà, della giustizia sociale e del ruolo essenziale della donna, non solo nella famiglia, ma anche in politica e nella società.

     

    Al rientro in Italia, nel 1939, avvia un intenso impegno sociale. A Roma è attiva nella Resistenza, organizzando un centro d’assistenza per profughi e reduci. Presto si rivela come un forte esempio d’emancipazione femminile ante litteram, con trent’anni d’anticipo sui movimenti poi nati in Europa. Nel 1944 è tra i fondatori delle Acli, poi del Centro Italiano Femminile (Cif) del quale diventa la prima Presidente, dal 1945 al ‘50. Ma soprattutto è una delle figure più importanti della nuova Repubblica democratica nata il 2 giugno 1946. Nell’Assemblea Costituente, eletta con la Democrazia cristiana, è una delle figure più incisive.

     

    Assieme alla collega di partito Angela Gotelli (Dc), a Nilde Iotti e Teresa Noce (Pci), a Lina Merlin (Psi), Maria Federici è nel gruppo delle cinque donne – delle 21 elette nell’Assemblea – entrate nella Commissione Speciale dei 75 che sotto la presidenza di Meuccio Ruini elabora il progetto di Carta costituzionale, poi discussa in aula dall’Assemblea ed approvata il 22 dicembre ‘47. Promulgata il 27 dicembre dal Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, la Costituzione entra in vigore il 1° gennaio 1948. Rilevante il contributo della Federici nella Commissione dei 75, in tema di famiglia, sull’accesso delle donne in Magistratura, sulle garanzie economico-sociali per l’assistenza alla famiglia, del diritto all’affermazione della personalità del cittadino, sul diritto di associazione e ordinamento sindacale, sul diritto di proprietà nell’economia. Pure rilevante il suo ruolo in Assemblea plenaria con incisivi interventi in aula sui rapporti etico-sociali, sui rapporti economici e politici, sulla Magistratura, su diritti e sui doveri dei cittadini.

     

    Il 18 aprile 1948 Maria Federici viene eletta alla Camera dei Deputati nella prima Legislatura repubblicana (1948-1953), nel collegio elettorale di Perugia. La sua spiccata sensibilità sociale, le immagini delle navi e dei treni pieni d’emigranti, le famiglie che restano nei paesi affidate alle sole donne, la drammatica congerie di problemi legati al fenomeno migratorio determinano in lei un impegno esemplare nell’affrontare le questioni sociali legate all’emigrazione. La tenacia e la sua visione della complessità del fenomeno migratorio la muovono in una forte attenzione politica, unitamente ad una risposta strategica e strutturale ai bisogni d’assistenza che man mano emergono come conseguenza dell’emigrazione. Pensiero ed azione la sua cifra.

     

    Ed è così che l’8 marzo 1947 Maria Federici fonda l’Associazione Nazionale Famiglie Emigrati (Anfe). Presidente dell’Anfe sin dalla fondazione, lo rimarrà fino al 1981. Sotto la sua guida sicura, con infaticabile impulso, l’associazione si espande con sedi in ogni provincia e nei comuni a più alta emigrazione, sempre presente laddove esistono i problemi, in Italia o nel nuovo mondo. Anche in quei lontani continenti, come pure nella vecchia Europa, nascono sedi dell’Anfe. Una rete capillare di strutture che diventano punti decisivi d’assistenza per i nostri emigrati, per la soluzione d’ogni problema sociale, burocratico ma anche psicologico nell’integrazione nelle nuove realtà. Le battaglie di Maria Federici restano esempio d’impegno civile e politico, come la lotta per il riconoscimento dei diritti della famiglia degli emigrati; l’affermazione del principio che l’emigrazione non è problema individuale, ma familiare; il riconoscimento reciproco tra Stati europei dei titoli di formazione professionale; il riconoscimento delle malattie professionali; il riconoscimento dei diritti civili e politici dei connazionali nei paesi d’emigrazione; la scolarità dei figli degli emigrati; l’inserimento della lingua italiana nelle scuole all’estero; le facilitazioni per il ricongiungimento delle famiglie di emigrati; il riconoscimento del diritto di voto per gli italiani all’estero.

     

    Sono solo alcune delle battaglie combattute dalla Federici e dall’Anfe a tutela della dignità dei lavoratori italiani all’estero, dei loro diritti e di quelli delle famiglie. Dunque, un’opera notevole nel sostegno alle famiglie e a tutela della loro integrità, nella difesa dei diritti dei bambini, nella formazione professionale, nella crescita culturale, sociale e civile dei nostri emigrati. Insomma, tali meritorie attività hanno fatto dell’Anfe, Ente morale dal 1968, un partner insostituibile nei più alti organismi internazionali per l’emigrazione e l’immigrazione, grazie al suo enorme bagaglio di esperienze. Maria Federici muore il 28 luglio 1984 a Roma, ma è L’Aquila, la sua città natale, a custodirne le spoglie. E tuttavia l’insegnamento e l’opera di Maria Federici sono ancora determinanti per comprendere a fondo i problemi delle migrazioni. Un cospicuo patrimonio d’esperienze, di pubblicazioni e di scritti, il suo, utile per l’intero Paese, grazie alla lungimiranza d’una delle donne più rilevanti del Novecento di cui L’Aquila può andare orgogliosa.

     

    L’ANPI, nel giorno della nascita della Repubblica, meritoriamente la ricorda, insieme alle altre 20 Madri costituenti. Oggi il loro esempio stride con certa volatilità del pensiero e con la labilità, se non l’assenza, di riferimenti ai grandi valori. Nella difficile transizione che l’Italia vive, dove sovente domina l’apparenza piuttosto che l’essenza, esempi di vita come quelli testimoniati dalle Madri e dai Padri costituenti che hanno scritto la Carta fondamentale della nostra democrazia, devono per tutti essere punti di riferimento per restituire credibilità alla politica, per affrontare le difficili sfide che ci attendono, per riportare le Istituzioni - e chi è chiamato a ricoprirne i ruoli - alla necessaria austerità dei comportamenti in linea con i sacrifici che il popolo italiano sta vivendo. Una dedizione autentica al Bene comune, dunque, per tornare finalmente a costruire il futuro della nostra Italia.

  • Beautiful Lake Garda, the largest lake in Italy
    Tourism

    Garda.142 sq mi of Nature, Food, History, and Culture

    Heading down the “Serenissima” Highway out of Verona in the direction of Milan, we hardly expect to find a trove of wonders in under twenty minutes. Yet there is the sign for Peschiera del Garda, signaling how close we are to the largest lake in Italy. A couple minutes later, we pass the lake’s main outlet, Mincio, which skirts Mantua before reaching the confluence of the Po and flowing gently into the delta.

    The natural world suddenly looks lusher. Surrounded by an enormous body of water, the area enjoys mild temperatures that allow for the active cultivation of grapes and olives, as well as cedar, orange and lemon trees—trees otherwise nonexistent at such latitudes. Spanning 142 square miles, Garda is a massive triangle of water measuring 32 miles long, from its northern tip at the spur of the Alps—Adamello and Brenta—to its southern base, where we began our journey.

    The 346-meter-deep lake was formed during the Quaternary Period, when retreating ice sheets deposited large rocks to create the incomparable beauty of its western coast. Exiting the highway at Sirmione, we spy the nearby tower of San Martino della Battaglia, a reminder of the heroic standoff between the Piedmont armies and the Austrians during the Second Italian War of Independence. The commanding, intense blue of the lake, speckled with sailboats, is a sight for sore eyes on a sunny autumn day. A light wind ripples the surface. The waves form foamy arabesques as they crash against the rocks on the shore. The quaintness of the place is complimented by its architecture: the houses, villas and gardens that surround the lake keep a respectful distance. We continue down the peninsula, the narrow, verdant spit of land that cuts into the lake. The road is bordered by well cared for plant life and pastel-colored houses.

    From Sirmione to Desenzano

    We park at Sirmione and walk the rest of the way to the entrance, which is presided over by the majestic Rocca Scaligera as well as swans that root around the banks of the moat. The crenellated castle is magnificent. Built in the 13th century under the dominion of Verona’s Cangrande della Scala, it serves as Sirmione’s marvelous anteroom. The town is laid out in the medieval style. Its narrow cobblestone streets are lined with small shops, bars and colorful window displays. Talk about charm. The various houses, hotels and shops combine to form a pleasant and harmonious whole. Near the shore, cypresses and laurel trees, myrtles and holm oaks stare into the deep waters. We stick to the road till the town recedes and the peninsula opens up, making room for hotels and spas. The top of the promontory, the highest point of the peninsula, boasts winning views of the lake.

     

    To the left it encompasses the alluring skyline of Desenzano and the impressive rocky western coast as far as Riva del Garda, and to the right it includes the low-slung Veronese shore, which only becomes hilly around San Vigilio, at the foothills of Monte Baldo. From this very spot we catch a glimpse of the remains of the Grottoes of Catullus protruding into the lake. Here, the great poet of Latin antiquity sang of the beauty of these places and his love for Lesbia. Gaius Valerius Catullus was born in Verona in 56 B.C. He lived to the young age of thirty, still long enough to pen elegies and meditations of rare intensity. During his life, he split his time between Rome—where he had friends and lovers as well as thorny relationships with Cicero and Caesar Augustus— and at his father’s house in Sirmione, where the poet felt comfortably rooted. During antiquity, Garda witnessed a sharp rise in the number of Romans, thanks in part to the fact that Via Gallica passed just to the south of the lake. That strategically important arterial road connected Mediolanum (Milan) to Aquileia. But Romans also flocked to the place for its beauty and charm, including literary and patrician figures like the poet Virgil and the historian Livy. Now this enchanting town draws a multitude of visitors. In fact all the centers around Garda have become destinations for cultural and sports tourism, the latter drawing fans of water sports and sailing. There is a steady stream of Italian tourists, but still more come from abroad, in particular Germany, as well as other European countries, North America and, more recently, the Far East.

    Magic Desenzano

    One of the biggest tourist magnets is Desenzano, a beautiful city today regarded as the capital of Garda, given its size (almost 29,000 inhabitants), its abundance of attractions, the quality of its year-round cultural events, and its fine hotels and other accommodations. From Sirmione it’s a ten-minute drive to one of the parking lots outside the city’s historic center, which is closed to traffic. This manicured urban center is more garden than city, sprinkled with colorful flowers, intriguing vistas and pretty nooks that open out to Lungolago, the boardwalk that spans almost 4 miles, from the hamlet of Rivoltella to the Lido di Lonato. The center of the city has a port from which boats ferry people to the most visited areas of Garda. To the right of the port is a magnificent walkway where you can admire the play of waves against the shore. It’s like walking on water. You can also opt for a seat on one of Lungolago’s benches and appreciate the glittering hills and mountains jutting out against the deep blue waters. At the heart of Desenzano’s historic center is Piazza Malvezzi, distinguished by its porticoes and a statue of Saint Angela Merici. The city’s patron saint was born here in 1474 and founded the Order of the Ursulines.

    Off in the wings is the Duomo. Dedicated to Mary Magdalene and open for worship since 1611, the cathedral houses valuable frescoes by Andrea Celesti and a last supper by Giovanni Battista Tiepolo. There are several routes that climb up from the historic center to the highest residential area and forming a kind of amphitheater. The 11th century Castello sits at the summit. The strategic position of the castle suggests it may have been built on top of the ancient Roman castrum. Exquisitely restored by the municipality, it now hosts exhibits and concerts. Not far from the castle lie the stunning ruins of a Roman villa that was developed over several epochs, from the 1st century BC to the 4th AD. Today you can admire the villa’s splendid mosaics, a triclinium, a viridarium with some remaining murals and various lavatories and washrooms. An Antiquarium displays relics from a dig, and the nearby Archaeology Museum, housed in a former church, contains remnants from Bronze Age settlements around Garda. Not to be missed is an oak plow from 2000 BC—to this day the oldest object in the history of archaeology. Mention should also be made of a monument in Desenzano commemorating Francesco Agello, an Italian test pilot who broke the speed record, once in 1933 and again in 1934, right here on Lake Garda. In the 1930s, a group of pilots formed the famous Reparto Alta Velocità (High Speed Team) at Desenzano’s seaplane base. With their MC 72 Mach seaplanes, they would eventually claim three world titles for air speed and break the 700 km/hour ceiling.

    Salò

    We hop back on the coastal road and take in the castles and fortresses gilding the towns that dot the hills and shores around the lake. Each merits consideration. Each merits a visit. The Lonato and Soiano del Lago castles. The impressive castle of Moniga. The fortress of Manerba. The castle of San Felice sul Benaco. Our next stop is Salò, an enchanting town nestled in a cove. The town has preserved some of the pristine counters of a rich and powerful medieval village, despite suffering serious damage in the tragic earthquake of 1901. The splendid historic center is dominated by a bulky late Gothic cathedral. Inside the church are paintings by Paolo Veneziano, Zenone Veronese, and Girolamo Romanino. As the “Magnifica Patria” capital (traces of which can be seen in the precious palace connected to the Podestà) Salò was protected by a solid city wall. It is still easy to discern the old urban layout, despite the seismic activity and rebuilding. It takes after the Lungolago. Once a stronghold of the Viscounts of Milan, in 1426 it fell into the hands of the Serenissima Republic of Venice until the end of the 18th century. Salò later garnered unwelcome notoriety when in the fall of 1943 Mussolini established the headquarters of his notorious Social Republic there.

    Don’t miss il Vittoriale

    Our trip ends in Gardone Riviera, otherwise known as Vittoriale degli Italiani, where it’s impossible for an Abruzzese such as myself to neglect to pay my respects to Gabriele d’Annunzio, even if our understanding of the world differs significantly. Born in Pescara in 1863, d’Annunzio was one of Italy’s greatest poets, dramaturges and writers—given his sheer output and linguistic innovation—and the major figure in the Decadence movement. But he wasn’t only a man of letters. He was also a politician, journalist and soldier whose heroic and reckless acts became the stuff of legend: the flight over Vienna, the Bakar mockery, the endeavor to create a free state in Fiume. D’Annunzio proved too troublesome for the fascists. Despite singing his praises, they “confined” him to Villa Cargnacco, which “Vate” himself rechristened Vittoriale and transformed into a mausoleum—of extravagant and highly questionable taste—filled with mementoes and mythological symbols that celebrated his egolatry. There, d’Annunzio indulged in his decadent taste for “excesses,” living out his days in a gloomy yet gilded solitude, until his death on March 1, 1938. Today the Vittoriale has become a monumental facility and museum. Vate’s one addition is a panoramic open-air theater. The house is currently managed by the Fondazione del Vittoriale.

     

     

  • Arte e Cultura

    Quelle “Parole invisibili”

    E'’ uscito da un paio di settimane il volume “Parole invisibili” di Stefano Carnicelli, pubblicato da Tralerighe Libri. E’ il terzo romanzo dello scrittore aquilano ed è già al Salone del Libro di Torino, dove sarà presentato il 12 maggio prossimo, alle 18:30, presso la sala Romania. Al suo lavoro di direzione bancaria, Stefano Carnicelli associa un’intensa attività di operatore culturale e soprattutto una feconda creatività letteraria, densa di sensibilità, che lo ha portato a pubblicare tre romanzi in otto anni. Come i primi due, "Il cielo capovolto" e "Il bosco senza tempo", anche questo suo terzo romanzo “Parole invisibili” non mancherà di raccogliere interesse, consensi e gradimento dai lettori, perché la storia che vi è narrata, con una scrittura bella e coinvolgente, tocca le corde più profonde dell’anima.  

     

    Parole invisibili”, infatti, racconta la storia d’una madre e del suo unico figlio, affetto da autismo. Il romanzo si sviluppa su capitoli scritti in prima persona alternata. Quando è Lorenza a narrare, viene descritto il dramma di una madre alle prese con un terribile destino, aggravato dal fatto che in Italia un disagio di questo tipo non è adeguatamente conosciuto e riconosciuto. Lorenza, profondamente delusa da un’adozione mai arrivata, vive un fortissimo desiderio di essere madre. La gravidanza, cercata con ogni mezzo, porta alla nascita di Achille, un bimbo bellissimo, ma intossicato da metalli pesanti e aggredito da gravi disturbi autistici.

     

    Lorenza e Piero subiranno il dolore d’una diagnosi terribile, poi quello di constatare l’inesistenza di strutture e di cure adeguate, a differenza di altri paesi, quali Francia e Stati Uniti, dove il problema dell’autismo è affrontato con maggiore decisione e con terapie innovative, in grado di dare risultati soddisfacenti. Scopriranno inoltre sulla loro pelle i problemi, anche finanziari, legati all’adozione di nuovi metodi di cura. Con coraggio decideranno di andare all’estero e con l’aiuto d’una motivata ed eccellente équipe di terapisti cercheranno di assicurare ad Achille un futuro dignitoso.

     

    Nel romanzo, quando è la voce muta ed invisibile di Achille a parlare, il bambino si racconta interiormente, perché possiede le sue speciali percezioni. Le sue saranno parole pensate, definite, tuttavia senza avere il dono di poterle comunicare all’esterno. Il suo linguaggio è muto, strozzato, e le parole sono invisibili. E’ questa una storia attraversata da mille sentimenti, con i coniugi Lorenza e Piero, con Achille e il nonno Luigi - la cui complicità con il nipote è ricca di sensibilità e sfumature -, nell’incessante sforzo di cercare quella bellezza che alla fine si ritrova, proprio nelle vite che hanno la forza e il coraggio di andare oltre il banale.

     

    Parole invisibili” è un romanzo intenso. Reca con sé anche un profondo significato “civile”, nel voler dare risalto ad un mondo, quello dell’autismo, spesso sconosciuto e trascurato dalle istituzioni e dalla comunità. Un disagio che non va curato con i farmaci, ma con terapie appropriate sugli aspetti del comportamento, perché il bambino di oggi come l’adulto di domani possano essere accolti ed integrati nella società.

     

    Come hai pensato di raccontare una storia così particolare, come quella di una famiglia impegnata ad affrontare un problema come l’autismo?

     

    La mia scrittura nasce da un concetto narrativo di base, una vicenda autentica e vera intorno alla quale costruisco la storia. Che racconti poi un problema come l’autismo, così negletto, ha il valore quasi di un urlo, un forte richiamo sociale per la comunità, spesso poco attenta a persone che soffrono disagi del genere e talvolta perché poco si conosce tale disturbo del comportamento.  

     

    Quali sono i personaggi centrali della storia e quali le loro fisionomie interiori e psicologiche?

     

    In “Parole invisibili” due sono i personaggi fondamentali: Lorenza, la madre, e Achille. Lorenza è la narrazione reale, è la storia a presa diretta, al di là degli spunti di fantasia come il rapimento. Quando parla Lorenza, quindi, la scrittura rasenta la realtà. E' una scrittura che ho voluto tenere con i piedi per terra. Racconta i problemi realmente vissuti: la mancata adozione - Achille arriva dopo i tempi persi inutilmente dietro un'adozione mai perfezionata -, l'aver messo al mondo un figlio autistico che le dà sensi di colpa, i disagi vissuti in Italia nell'ambito delle problematiche riguardanti l'autismo, come l’assenza di strutture adeguate, una scuola “sorda” al disagio, ed altro ancora. Sono tutte cose che emergono dalle parole di Lorenza. Il suo, dunque, è approccio al vero, semplice e diretto. Achille, invece, è la narrazione di fantasia. Egli si presenta in modo frizzante e bizzarro. Non potrebbe essere diversamente, visto che il bambino ha percezioni diverse - incontrollabili, libere, fuori dagli schemi - dai presunti normali.

     

    Achille ha dunque un linguaggio tutto suo, che spazia nell’elaborazione del fantastico?

     

    Sì, certamente. E’ proprio per questo motivo che l'approccio che ho voluto dare alle parole di Achille è anche di tipo favolistico. Come quando il bambino vola tra i cieli alla volta di Parigi, inventando la favola di Bianca e Neve. Un qualcosa di inaspettato e fantastico. Credo sia giusto così. Del resto le sue reazioni non sono catalogate. Per lo stesso motivo, Achille resta affascinato dalla Parigi “invisibile”, quella lontana dai circuiti consueti. E' scontato dire che sono belli il Louvre, Notre Dame o gli Champs Elysées, un turista normale questo nota. Achille, invece, s'innamora delle statue di Rachid costruite con i metalli “raccattati” in giro per il mondo. Va oltre, con bizzarra fantasia - e qui torna la non controllabilità delle percezioni di un bambino autistico - pensa di navigare per il mondo con l'unico scopo di disintossicare i bambini autistici aggrediti dai metalli pesanti. Analogamente s’innamora di Les Frigos. Perché? Perché è un luogo bizzarro con alle spalle una storia di abbandono, ma anche di rinascita. Se vogliamo, Les Frigos ha l'analogo destino di chi viene emarginato e poi recuperato a nuova vita. Un po' come quello che avviene nella vita di Achille. E poi i colori di Les Frigos, il fatto che lì vivono personaggi e artisti bizzarri… un po' come lui, Achille. C'è quindi vicinanza e affinità, per questo egli se ne innamora. 

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    Stefano Carnicelli è nato il 20 maggio 1966 a L'Aquila, città dove vive e lavora. Laureato in Economia e Commercio presso l'Università degli Studi "G. D'Annunzio" di Pescara, dirige la filiale di un Istituto di Credito. Pubblica su giornali e riviste articoli culturali e recensisce libri. Cura eventi e presentazioni di libri e su televisioni locali conduce trasmissioni sulle novità editoriali. Nel 2011 il suo primo romanzo, "Il cielo capovolto", pubblicato da Prospettiva Editrice, ha ricevuto diversi premi. Nel maggio 2013 è uscito, sempre per la Prospettiva Editrice, il suo secondo romanzo "Il bosco senza tempo", anch’esso tributato di riconoscimenti. Nell’aprile 2019, edito da Tralerighe Libri, il suo terzo romanzo “Parole invisibili”. Tutti i suoi libri sono stati presentati – il terzo lo sarà nei prossimi giorni - al Salone del Libro di Torino.

  • Opinioni

    L'Aquila, dieci anni dopo

    L’AQUILA – «Immota manet. Così è scritto sul gonfalone della città. “L’Aquila resta ferma, immobile”. Almeno questo avviene nello spirito della sua gente, riservata e dignitosa anche di fronte al disastro che la colpisce. Da secoli questa la sua indole, aliena dall’ostentazione del dolore, intima nell’elaborazione dei propri lutti. Invece non sono rimasti fermi palazzi e monumenti, case e chiese, alle scosse del serpe che il 6 aprile si è agitato terribilmente nel suo ventre, che si agita ancora. Quella notte del 6 aprile, nel cuore d’una notte stellata e chiara di luna, L’Aquila ed i meravigliosi borghi del suo circondario sono stati squassati dal terremoto per lunghissimi, interminabili secondi, oltre venti. L’ho vissuta l’esperienza, meglio non descriverla. Mi resta nel profondo la sensazione dei primi minuti, delle prime ore della sopravvivenza. Mi si è impressa nella mente l’atmosfera irreale, sospesa, allucinata, che aleggiava sulle case distrutte nel centro storico della mia Paganica, un bel paese di oltre cinquemila abitanti a 9 km dall’Aquila. Lì sono nato e vivo. L’hanno indicato subito come l’epicentro del sisma. Abito in periferia. La mia casa è stata costruita trent’anni fa, in cemento armato. E’ davvero strano che la tua casa, per antonomasia rifugio che ti dà sicurezza, d’improvviso diventi una minaccia. Ti si sovverte il mondo, la vita. Dopo la scossa delle 3 e 32, la corrente elettrica mancata, guadagnata l’uscita calpestando oggetti e stoviglie rotte, con i miei di famiglia siamo andati subito via da casa, per luoghi più aperti. Abbiamo transitato accanto al centro antico di Paganica. La settecentesca chiesa della Concezione con la facciata in bilico, squarciata, in parte crollata, ha fatto il giro del mondo, in quello stato. Lì vicino la parrocchiale di Santa Maria Assunta, impianto duecentesco riadattato nel Seicento, dall’esterno non sembra aver avuto grossi traumi, ma sarà solo un’impressione. Contrastano con il cielo, d’un colore livido, il profilo delle case e la fuga scomposta dei tetti che s’inerpicano verso il Colle, quartiere alto dove imponente domina la chiesa di Santa Maria del Presepe costruita sul sito del castello distrutto nel 1424 nella guerra dell’Aquila che sconfisse Fortebraccio da Montone. […] »

    Fu questo fu l’incipit del lungo racconto che scrissi all’indomani del terremoto del 6 aprile 2009, una testimonianza raccolta da molte testate della stampa italiana all’estero. Dieci anni sono passati da allora. Oggi è il giorno del ricordo di quella notte sconvolgente, quando il terremoto squassò L'Aquila e 55 altri comuni, sconvolgendo le vite delle popolazioni del cratere sismico. La città capoluogo d'Abruzzo fu lacerata, paralizzata nei suoi servizi, mutilata e ferita nel suo straordinario patrimonio d'arte e d'architetture, uno dei centri storici più preziosi e vasti d’Italia.  309 le vittime. Di loro faremo sempre memoria. A loro va il nostro raccoglimento, la nostra preghiera muta, rispettosa dei familiari rimasti con la lacerazione perenne del cuore.

    In questo primo decennale molti saranno i bilanci, le analisi, i giudizi. Sulle condizioni dell’Aquila, sullo stato della ricostruzione materiale e sociale, sugli obiettivi raggiunti, su quelli ancora lontani, sui ritardi, sui problemi, sulle criticità. Com’è comprensibile, molte saranno le voci che giudicheranno questi 10 anni, tanti i servizi giornalistici e gli speciali televisivi, le testimonianze, gli approfondimenti scientifici sui terremoti e sulla prevenzione sismica. Le analisi certamente riferiranno sui risultati finora raggiunti nella ricostruzione dell’Aquila e degli altri centri, sulle innovazioni ardite e sulle tecniche d’avanguardia che stanno restituendo una città sicura - caso di studio per molte università italiane e straniere -, tra le più sicure d’Europa. E tra le più belle città d’arte, diventata sin da quel 6 aprile di dieci anni fa città patrimonio del mondo, come universale è il messaggio di pace e di perdono che da otto secoli essa custodisce nel dono della Perdonanza, il primo giubileo della cristianità, e nell’eccezionale magistero di papa Celestino V.

    Ma l’attenzione dei media si concentrerà soprattutto sugli errori, sui ritardi e sulle occasioni mancate nei dieci anni trascorsi dal quel tragico 6 aprile del 2009. E’ giusto che sia così. Ho grande rispetto e gratitudine per questa attenzione scrupolosa verso la nostra città. Aiuta a tenere accesa sempre una luce su ogni aspetto della nostra rinascita. Molte le analisi già svolte in questi giorni che precedono il 6 aprile, alcune rigorose, altre meno per il retaggio di consumati stereotipi, sovente lontani dalla realtà. Mi asterrò, in questa circostanza, da valutazioni e da personali giudizi nei confronti dei governi che si sono succeduti e delle amministrazioni che hanno guidato la Regione, gli enti locali e in particolare la Città capoluogo. Ho avuto l’onore di servire L’Aquila per quasi un trentennio, nelle funzioni di consigliere, assessore e vicesindaco, fino al 2007. So quanto peso gravi sulle spalle di ogni amministratore civico che con serietà e coscienza si mette al servizio della propria comunità. Figurarsi quale sia la responsabilità e l’immane onere di doverlo fare in situazioni tragiche ed eccezionali, dopo un terremoto come quello del 2009, i cui precedenti similari per gravità, nella storia della città che tanti ne ha subìti, furono quelli del 1703, 1461 e 1349.

    Vorrei invece tornare oggi con il pensiero, quantunque nella tristezza degli eventi di cui facciamo memoria - le cui immagini restano nitide come fossero di qualche giorno fa -, non solo al ricordo del dolore di quei giorni tremendi, ma anche dell’affetto immenso che ci circondò. Non possiamo non rammentare, con profonda gratitudine, l’abnegazione, la solidarietà, l’impegno straordinario e generoso dei Vigili del Fuoco e delle decine di migliaia di Volontari giunti da ogni parte d'Italia, organizzati nelle associazioni che resteranno per sempre nel nostro cuore (Alpini dell’ANA, Croce Rossa, Protezione Civile delle varie Regioni italiane, Misericordie, Caritas, e tante altre ancora), delle Forze dell'Ordine (Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza), dell'Esercito. Una gara di affettuosa premura verso la popolazione dell’Aquila e dei borghi colpiti dal sisma.

    Non potremo mai dimenticare questa che è stata una pagina splendida, l’immagine della più bella Italia, quella del Volontariato e della Solidarietà. Come pure non dimenticheremo mai l'amore e la solidarietà di tutti gli Italiani nel mondo - in particolare degli Abruzzesi e delle loro associazioni -, espresse con innumerevoli gesti di grande valore morale e di significativa generosità. In questi anni, visitando le nostre comunità all’estero nelle Americhe, in Australia, in Africa e in tutta Europa, il mio primo e preminente pensiero è stato sempre quello di ringraziare tutti i nostri connazionali dal profondo del cuore, come semplice cittadino ma anche a nome dell’intera comunità aquilana (quando si è stati amministratori civici lo si rimane moralmente per sempre). Li ho ringraziati per l’affetto, la vicinanza, la tenerezza profonda dei gesti d’aiuto e di solidarietà nei giorni e nei mesi del dopo terremoto. Tantissimi italiani sono venuti a soccorrerci. Un numero impressionante a trovarci nei mesi e negli anni successivi al sisma. Tanti ci hanno poi accolti ed ospitati, per qualche giorno di serenità, dal Trentino alla Sicilia, dal Piemonte alla Puglia, dalla Lombardia alla Sardegna, dal Friuli alla Calabria. Un’Italia premurosa e materna, fortemente unita nei suoi abitanti dalle Alpi fino a Lampedusa. In ogni dove sempre con il cuore aperto, come aperto e generoso è sempre il cuore dell’Italia in occasione delle calamità che ci colpiscono, esaltando in ciascuno il senso della comunità nazionale e della fratellanza tra italiani. Serve ricordare queste fatti, sono davvero educativi per i tempi complicati che stiamo ora vivendo, quando sembrano affermarsi i messaggi più beceri, egoisti e lontani dalla nostra umanità.

     

    Vorrei anche qui ricordare l'attenzione di tanti Paesi del mondo di fronte alla nostra tragedia, alcuni dei quali ebbero occasione di verificare direttamente le lacerazioni inferte dal sisma al patrimonio architettonico e artistico dell’Aquila nel luglio del 2009, quando la città ospitò i capi di Stato e di governo nelle riunioni del G8 e G20. Alcuni degli Stati più potenti al mondo s’impegnarono meritoriamente a restaurare dei monumenti, altri hanno generosamente contribuito con donazioni a comuni, università e ospedali, per costruire opere di pubblica utilità o ricostruire importanti emergenze architettoniche. Qualche Stato non ha dato seguito alla promessa solennemente assunta. Orbene, grazie alle risorse assicurate dal governo nel 2013 con un impegno pluriennale, i centri colpiti dal terremoto stanno risorgendo dalle macerie, la ricostruzione sta andando avanti. L’Aquila tornerà più bella di prima.

     

    In questi anni difficili la comunità aquilana ha dato un grande esempio di dignità e di resilienza. Come nei secoli passati, dopo gli altri terremoti che sconvolsero L’Aquila, anche questa volta ce la faremo. Nella tragedia è emersa la parte migliore della nostra gente, l’indole forte e tenace. Ma non possiamo tuttavia nasconderci che ha messo in luce, in una ridotta minoranza, anche i lati peggiori del comportamento umano, piccole e grandi miserie morali. C’è pure da registrare che sul "cantiere più grande d'Europa", come è stato definito, hanno girato e girano anche altri interessi poco chiari, che tuttavia Magistratura e reparti dedicati della polizia giudiziaria, con un assiduo efficace e penetrante controllo, vanno man mano scoprendo, inquisendo i sospettati, rinviando a giudizio e condannando i responsabili dei reati. Fenomeni contenuti, tuttavia, rispetto alla dimensione economica della ricostruzione. Non aggiungo altre considerazioni su questa parte un po’ squallida delle vicende legate alla gestione dell’emergenza post sismica e alla ricostruzione.

     

    Un pensiero ancora sento di esprimere sulla ricostruzione morale, sulla rinascita d’un nuovo senso della comunità degli aquilani. La ricostruzione materiale è in corso, andrà comunque avanti con tempi più o meno soddisfacenti. Ma la cura che più ci preme riguarda la ricostruzione morale delle lacerazioni interiori delle persone, poco o per nulla apparenti, conseguenti al terremoto. Tralasciamo riferimenti più puntuali a studi scientifici e sociali, che pure in questi anni sono stati prodotti. Mi sembrano illuminanti al caso alcuni spunti che traggo dal messaggio per il decennale dell’arcivescovo dell’Aquila, Cardinale Giuseppe Petrocchi, ieri uscito sulla stampa.

    Inizia con queste parole l’intenso messaggio agli aquilani del Cardinale Petrocchi: «Per la decima volta, quest’anno, sentiremo i rintocchi della campana che ricordano i 309 “martiri” del terremoto. Facciamo memoria di tutte le vittime di quella immane tragedia; le stringiamo a noi con un unico abbraccio e, al tempo stesso, le chiamiamo per nome: una ad una. La “notte crocifissa” del sisma ha suscitato lunghi giorni di dolore, ma anche ha acceso la luce di una graduale “risurrezione”, più forte della furia devastante del sisma. Le lacrime versate si sono rivelate feconde, ed hanno generato una abbondante fioritura di fraternità e solidarietà. La ricorrenza – che celebriamo con raccoglimento e volontà di ricostruzione “integrale” – ci obbliga a fare, insieme, una seria revisione. Per questo, non parlerei di “terremoto”, ma di “terremoti”, non solo perché abbiamo avuto nuove repliche telluriche (nel 2016 e 2017), ma anche perché il sisma è un evento complesso e multiforme, difficile da cogliere nella sua distruttiva “globalità”. Quando sono venuto a contatto con gli effetti demolitivi delle scosse, mi sono accorto che, accanto alle macerie “visibili” (materiali), c’erano pure quelle “invisibili” (spirituali); allora ho cominciato a parlare diterremoto dell’anima”, che costituisce l’altra faccia (quella meno esplorata) della storia del sisma. […]».

     

    Sarà questo l’impegno più arduo cui dover assolvere, pensando alla parte più fragile della nostra gente. E ancora l’altro rilevante impegno di pensare anzitutto al futuro delle nostre giovani generazioni, che nella città ricostruita e nel suo territorio debbono poter trovar modo d’esprimere il loro talento, in opportunità di lavoro e di costruzione di nuove famiglie. L’Aquila ricostruita nelle sue case, nei suoi palazzi, nei suoi monumenti, negli uffici e nelle fabbriche, dovrà riaccogliere la sua gente, che vi torna a vivere con la speranza di un futuro. Nel decimo anniversario del sisma, quindi, oltre alla gratitudine per la vicinanza affettuosa che abbiamo avvertito, vogliamo essere aperti alla speranza di futuro per la nostra comunità. Certo augurandoci una più sollecita ricostruzione materiale, che sconta più d’un ritardo specie nella ricostruzione pubblica, ma soprattutto nella speranza operosa d’una forte ricostruzione sociale e morale della nostra comunità. Una comunità che deve ritrovare il senso profondo del vivere insieme con i valori antichi del Bene comune, quello che nei secoli ha fatto e mantenuto grande L'Aquila. Fraternità sociale, rispetto, impegno civico, etica delle responsabilità, cultura, creatività, attaccamento alla propria terra, amore per la propria storia e gratuita dedizione al Bene comune sono i riferimenti per disegnare il nostro futuro, il futuro dell'Aquila nuova, non solo più bella di prima, ma anche migliore di prima. Questo ricordo, con il forte senso di speranza e di futuro, è il modo migliore per ricordare le 309 vittime del terremoto dell'Aquila.

     

     

  • L'altra Italia

    Gian Luigi Piccioli, autore da riscoprire

    L’AQUILA – Gian Luigi Piccioli è uno scrittore d’origine abruzzese fecondo e raffinato, da riscoprire in tutta la sua dimensione nel panorama letterario italiano. Ad un lustro dalla sua scomparsa, va sicuramente in tale direzione la recente ripubblicazione del suo romanzo Tempo grande - uscito in prima battuta nel 1984 per l’editore Rusconi - per i tipi delle Edizioni Galaad, a cura di Simone Gambacorta che ne ha vergato una corposa e puntuale Presentazione. La sinossi del romanzo: in un grande studio televisivo romano, il conduttore Marco Apudruen e lo scrittore Gigi Insolera trasmettono in tempo reale immagini che arrivano da ogni parte del mondo sotto forma di servizi giornalistici. I due non potrebbero essere più diversi: freddo, ambizioso, dispotico il primo, sensibile e introverso il secondo. L’irrompere sulla scena di Marianna Estensi, un’affascinante fotoreporter, mette in crisi il loro sodalizio, innescando un crescendo di situazioni incandescenti e drammatiche in cui si riflettono le contraddizioni e i retroscena del mondo televisivo e il cinismo della “società dello spettacolo”. Fa da sfondo alla vicenda una Roma maestosa e svagata, capace di esaltare chi la vive oppure di schiacciarlo, mentre nei capitoli finali l’azione si trasferisce nel cratere di Ngorongoro, in Tanzania, dove un evento imprevedibile segnerà una svolta nella storia.

     

    Scrive Simone Gambacorta nella sua Presentazione: “Tempo grande parla di paure, passioni, speranze, dolori, ipocrisie, tradimenti. E contempla, non a caso, il topos del triangolo amoroso: ne sono coinvolti lo scrittore Gigi Insolera, la fotografa Marianna Estensi e il conduttore televisivo Marco Apudruen, i tre personaggi principali. Ma Tempo grande, uscito originariamente per Rusconi nell’orwelliano 1984, è anche un romanzo sui media, e nel caso specifico il medium è la televisione (verrebbe da dire: è un romanzo sui media appunto perché è un romanzo sull’uomo). […] Il villaggio globale di McLuhan, la società dello spettacolo di Debord, la tv “assassina” di Baudrillard: Tempo grande racconta la bulimia di una televisione sempre più aggressiva e sempre più «cattiva maestra» – secondo la lettura di Popper e Condry –, un gigantesco tubo digerente a ipertrofico tasso tecnologico che aggredisce e sbrana l’attualità su scala globale per trasformarla e rendere l’informazione e l’intrattenimento (la loro sintesi) merce da consumo, nell’oltranza produttiva del live e del reality (entrambi illusori)”. […]

     

    Dei personaggi del romanzo Gambacorta analizza relazioni, interdipendenze, soggezioni e condizionamenti nel loro mondo della comunicazione, nel vissuto quotidiano con il mezzo televisivo e nel “risucchio della macchina tv”, un coacervo di sentimenti nel quale si dipana la trama del romanzo che è bene lasciare per intero alla scoperta del lettore. “Il tempo grande del titolo – annota ancora Simone Gambacorta - è un tempo che si è ingrandito, è il tempo di una mutazione in atto, di una frontiera che si sposta, come un perimetro che scoscende e sfuma nell’evoluzione continuata (e anche metamorfica) di se stesso. È un tempo ignoto che porta in sé altro. È il tempo della contendibilità dei duplicati audiovisivi del reale, è il tempo di un nuovo potere che si afferma. Non manca nel romanzo una parte più spiccatamente avventurosa, dove la scelta del pericolo (con quel tanto di suspense che ne discende) fa tutt’uno con la scommessa assai rischiosa che porta Marianna Estensi a immolarsi in un sacrificio dove la vita diventa la contropartita di un esperimento a fini di audience.” […].

     

    E aggiunge: “Tempo grande segna il momento della pienezza creativa di Piccioli (qui forse non estraneo da alcuni accenti neobarocchi) e si apre con una lezione di sapienza scrittoria: «Da Porta Pinciana Gigi Insolera scese via Veneto lasciandosi alle spalle Villa Borghese, pensile sui muriccioli e appena bagnata dal sole. All’ingresso della metropolitana esitò; il divertente tapis roulant in pochi minuti lo avrebbe lasciato davanti agli studi televisivi della TDN, dove lavorava, a piazza di Spagna. Proseguì nell’aria trasparente tra i tavolini appena lavati di Harry’s. La libreria era aperta, e il suo ultimo romanzo non era più in vetrina». L’accenno all’esitare di Insolera e all’assenza del libro dalle vetrine sono allusioni per nulla casuali che prefigurano tanto il carattere quanto lo stato e il destino del personaggio. In quelle righe incipitali Piccioli suggerisce molto senza però rivelare nulla: ma il lettore avrà pian piano modo di appurare quante tracce siano già nascoste in quelle parole. Insolera è un intellettuale che cammina con grazia e fragilità tra i corpi contundenti di un presente pragmatico e cinico. È nella sua indole una disarmata assenza di ogni forza antagonistica, e tuttavia è un uomo capace di resistere (di resistere più che opporsi alle cose) e questo impedisce di considerarlo – almeno in senso stretto – un debole, tanto più che la sua capacità di resistere pare anche derivare dal suo essere un uomo sempre un poco discosto da tutto il resto, anche quando pare esservi più ampiamente coinvolto; in realtà il suo coinvolgimento più intimamente vero – quello irrevocabile, quello radicale – sarà quello per Marianna. Prende in ogni caso da lì avvio un romanzo tutto calato nell’ «era elettrica» di McLuhan, ma anche profondamente e drammaticamente italiano.”

     

    “[…] Esiste in Piccioli una vena civile netta e fortissima che de facto ne informa ogni opera e che torna a mostrarsi con non minore chiarezza nel romanzo anch’esso romano che sarà dato alle stampe dopo Tempo grande, ossia Il delitto del lago dell’Eur. […] Tempo grande ha interrogato il presente - conclude Gambacorta nella sua Presentazione - e ha dato risposte anticipatorie sul futuro. Quando uscì, Piccioli, che era nato nel 1932, era cinquantenne. La sua generazione era “naturalmente” lontana dall’orizzonte immaginato nel libro: perciò, più ancora che dai suoi interessi e dalle sue letture, Tempo grande è frutto del suo intuito della contemporaneità; quell’intuito che agiva come un istinto e che tuttora – nei suoi esiti – rappresenta una delle peculiarità più spiccate e sorprendenti di questo sorprendente narratore. Uno scrittore non è uno stregone né un indovino e tanto meno un mago, ma una forza critica che agisce dentro un’epoca. Questo ricorda Tempo grande”.

     

    Nato a Firenze il 24 settembre 1932, Gian Luigi Piccioli trascorre l’infanzia in Abruzzo, che lascerà solo ventenne. Con l’Abruzzo conserverà un forte legame, in particolare grazie ai frequenti ritorni a Chieti, Navelli e Francavilla al Mare, dove trascorrerà sempre le vacanze estive. Laureato in Giurisprudenza all’Università di Bologna, inizia a scrivere da ragazzo. Roma diventa la sua città adottiva: vi vive con la moglie Anna Di Nicola, anche lei abruzzese, e con i loro tre figli. Lavora all’Eni con Enrico Mattei e per anni scrive reportage per le riviste «Ecos» (dell’Eni) e «Synchron» (dell’Agip) raccontando l’Europa, l’Africa, le Americhe e l’Oriente. Innamorato del viaggio, è un osservatore inesausto e attento della sua epoca e non manca di riunire scelte dei suoi reportage in libri: da Una Cina per il 2000 (Ecos, 1980) a Viaggio nel mestiere Saipem (Kappagraph, 1980), per arrivare al più recente Africa vivi. Taccuini di un reporter (Galaad Edizioni, 2012). L’Africa è un suo grande polo d’interesse: a fornirne testimonianza è, fra l’altro, l’ampia conversazione con Alberto Moravia che Piccioli pubblica nella rivista «Synchron» nel 1985.

     

    Come narratore esordisce nel 1966 con il romanzo Inorgaggio (Mondadori), cui seguono Arnolfini (Feltrinelli, 1970), Epistolario collettivo (Bompiani, 1973), Il continente infantile (Editori Riuniti, 1976), Sveva (Rusconi, 1979, Premio Villa San Giovanni), Viva Babymoon (Bompiani, 1981, Premio internazionale Trento per la letteratura giovanile) e Tempo grande (Rusconi, 1984), con cui vince il Premio Scanno. Nel 1987 vince il Premio Flaiano per la narrativa con Il delitto del lago dell’Eur, edito da Camunia. Nel 1990 dà invece alle stampe Cuore di legno (Rizzoli); successivamente vedono la luce altri due romanzi: La Pescarina. L’età del cambiamento (Esa, 2005) e Tesi di laurea (Carabba, 2010). Del 1978 è la favola Olofìn e la tribù dei cacciatori (Lisciani e Zampetti), del 1998 Favole proibite (Arlem), del 2000 L’erba di Auschwitz cresce altrove (Arlem) e del 2007 Safari alla bambola rossa. Racconti paralleli e racconti reportage di persone e animali (Carabba). Del 2012 è Tempi simultanei. Libri e viaggi di uno scrittore (Galaad Edizioni), il libro-intervista firmato con Simone Gambacorta. Gian Luigi Piccioli muore a Roma il 21 aprile 2013.

     

    Riferimenti all’opera di Gian Luigi Piccioli, oltre che nella Storia della letteratura italiana contemporanea (1940-1996) di Giuliano Manacorda (Editori Riuniti, 1996), si trovano nel Dizionario della letteratura italiana contemporanea (Vallecchi, 1973), nell’Autodizionario degli scrittori italiani (a cura di Felice Piemontese, Leonardo, 1990) e nel Dizionario della letteratura italiana del Novecento (diretto da Alberto Asor Rosa, Einaudi, 1992). Cenni sono presenti nel compendio di Walter Pedullà La narrativa italiana contemporanea 1940/1990 (Newton Compton, 1995). Un primo inquadramento critico, in gran parte incentrato su Epistolario collettivo, è invece offerto da Renato Minore nel saggio Sul “gusto” della critica militante raccolto in Mass-media intellettuali società (Bulzoni, 1976). Su Epistolario collettivo non manca di fornire cenni Carlo De Matteis nel suo volume Civiltà letteraria abruzzese (Textus, 2001). A Piccioli dedica inoltre attenzione Lucilla Sergiacomo nel suo saggio La narrativa abruzzese del Novecento, un percorso tematico, che può leggersi nel volume L’Abruzzo del Novecento, a cura di Umberto Russo ed Edoardo Tiboni (Ediars, 2004). Di Lucilla Sergiacomo è inoltre assai utile la scheda critica che introduce una scelta delle pagine di Epistolario collettivo nell’antologia Narratori d’Abruzzo, curata dalla stessa Sergiacomo per Mursia nel 1992. Una precedente antologia dove Piccioli compare con un breve racconto è Narratori dell’Abruzzo e del Molise, edita anch’essa da Mursia nel 1971 per la cura di Giovanni Titta Rosa e Giuseppe Porto.  «La sua opera attende ancora un risarcimento che gli è dovuto. Piccioli è stato uno dei più grandi scrittori del secondo Novecento, non si può lasciare il suo nome nel dimenticatoio», ha scritto Massimo Pamio.

     

    Tempo grande di Gian Luigi Piccioli

    Galaad Edizioni, Teramo, dicembre 2018, pag. 348, € 18

     

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