Un Natale con la neve, i capitoni e il presepio

Gennaro Matino* (December 24, 2014)
La differenza che c’è tra la nostra precarietà e quelle vissute ieri dai nostri padri sta proprio nella qualità della memoria, nella forza che allora sapeva consegnare. Ci sentiamo maggiormente smarriti oggi perché in tempi difficili ci accorgiamo di non aver conservato il pane bianco per i momenti bui, perché abbiamo rinnegato le nostre radici. Vorrei poter rubare dal copione di Eduardo la frase di Luca Cupiello: “Questo Natale si presenta come Dio comanda”.


VORREI un Natale con la neve. Desiderio inopportuno in tempo di crisi?

Infantile sogno, mentre si fatica a far quadrare i conti e a spartire il centesimo per campare? Eppure è più forte di me, non resisto, vorrei un Natale con la neve. Vorrei svegliarmi al mattino e trovare tetti, strade, macchine imbiancate.


Quando ero bambino, il primo irrigidirsi dell’inverno coincideva quasi sempre con le feste natalizie e muoveva in me la speranza che il sogno si potesse avverare. Ad altre latitudini da Napoli, la neve è familiare, da noi è un’eccezione, quasi un miracolo, come il giorno della grande nevicata del 1956.


Mi piacerebbe un Natale con la neve, poterla vedere fioccare negli occhi lucidi dei bambini, commossi di gioia, e insieme a loro, col fiato umido, velare le finestre, solcarle con fragile scrittura, appena appena capace di trattenere per un attimo la frase augurale: Buon Natale, augurio per tutti da consegnare al vento.


Vorrei fare un bel presepio: al centro la grotta del prodigio, avvento di un Dioche non ha paura di farsi uomo, che non ha vergogna dell’umano, che locerca, lo chiama fino a rintracciarlo, pronto a vestirsi dei panni poco pulitidella sua storia. Ai lati della grotta metterei l’osteria e la macelleria, vita che siconsuma come vita. Metterei la cascata, le lavandaie, il pescatore. Non

mancherebbe certo Benino, uomo dei sogni anche lui, pronto a risvegliarsi alcanto degli alati messaggeri.


Vorrei un Natale con la frittura di capitoni. Ma che vai a pensare, direte. Amolti non piacciono neppure. Fatto sta che più lo dite e più a Natale pretendoche i capitoni fritti siano il mio piatto della memoria. Anche a casa mia, l’annoscorso, si disse che non era il caso. Mi rassegnai a farne friggere soltanto uno,per tradizione, visto che nessuno li gradiva. Fatto sta che l’unico a restaresenza assaggiarlo fui io e mi dovetti accontentare del solo profumo dell’aceto e dell’alloro. In realtà nessun profumo di cucinato. Troppo tempo, troppa applicazione stare ai

fornelli, il precotto funziona meglio. Ancor meglio la dieta, forse mangiare da soli, utilizzare meglio lo spazio inutile che potresti condividere con gli altri.


Spartire vita? A che serve, romanticismo inutile. Altra sostanza, altra economia di parole significative serve all’uomo adulto. Eppure io vorrei un Natale con i capitoni, con i miei vestiti e le mura della casa tutti impregnati di odore di frittura. Vorrei gli struffoli a Natale portati a tavola giusto poco prima dell’apertura dei regali. Vorrei vedere i bambini rubacchiare i confettini e poi leccarsi le dita dolci di miele. Vorrei soprattutto che la signora Ferinetti, quella del piano di sotto, che sta sempre sola, non subisse con rammarico e nostalgia i rumori della festa della famiglia di sopra, ma li potesse avvertire familiari, condividere dolcemente come suoi.


È difficile rompere il silenzio di chi è solo. Ma difficile non significa impossibile, basta aggiungere un posto a tavola. Vorrei rubare dal copione di Eduardo la frase di Luca Cupiello: “Questo Natale si presenta come Dio comanda”.


Qualcuno obietterà che il passato è passato e la nostalgia non serve a risolvere i problemi che ci attanagliano. È infantile pensare di celebrare un evento, anche se così importante per il calendario, mentre la criminalità spadroneggia, la crisi economica divora ogni cosa, il lavoro manca, la politica e i partiti sembrano sordi ai problemi della gente, mentre i potenti sono

impegnati come sempre nella spartizione della torta. Sì, è vero, il passato è passato, ma la memoria non è da buttare.


La differenza che c’è tra la nostra precarietà e quelle vissute ieri dai nostri padri sta proprio nella qualità della memoria, nella forza che allora sapeva consegnare. Ci sentiamo maggiormente smarriti oggi perché in tempi difficili ci accorgiamo di non aver conservato il pane bianco per i momenti bui, perché abbiamo rinnegato le nostre radici.


Sarà infantile desiderare un Natale con la neve, gli antichi profumi, il calore di tavole imbandite. Sarà, ma è proprio questo che mi sento di augurare. Natale è questione di nascita, senza il vagito del nuovo nato non si celebra festa. Chi viene alla luce si affida sicuro nelle braccia di chi c’era prima di lui, mentre il passato consegna al bambino il suo testimone.


Non mi vergogno delle mie radici, non mi vergogno del mio Natale. Auguro a tutti di non vergognarsi del proprio.


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