'Pane Amaro'. Quella storia che ancora non si conosce
Il “caso” degli italo/americani in 105 minuti? Una bella scomessa quella che si è posta il regista-giornalisa Gianfranco Norelli. E la sala dell’Auditorium del Graduate Center della City University of New York era gremita l’altra sera per “Pano Amaro”, film documentario, raro omaggio alla storia italoamericana. Prodotto dalla Rai, e destinato prima di tutto al pubblico televisivo italiano, il lungometraggio ha catturato gli sguardi di almeno tre generazioni italo-americane e anche molti italiani presenti.
Il film rievoca, con grande attenzione documentaria, momenti salienti e spesso drammatici della vicenda italoamericana, dal 1880 fino alla fine della seconda guerra mondiale. Un arco di storia vastissimo ed intenso è raccolto con cura in quasi due ore di proiezione che presentano rari documenti storici, fotografici e filmati, testimonianze dirette e commenti di esperti e studiosi.
Norelli, grazie al ‘mestiere’ di attento cronista, intraprende un percorso narrativo asciutto, senza lasciarsi andare a sentimentalismi, inutili retoriche. Il risultato è un contributo denso di spunti di riflessione, di informazioni, vicende. Si percepisce nel corso della proiezione quasi l’ansia del regista di raccogliere più elementi possibile, consapevole di raccontare tanta storia poco conosciuta. Soprattutto ad un pubblico italiano.
Certo, non solo. Anche per molti italiani americani, questi 150 di storia risultano spesso oscuri. Ci sono vicende che non fanno ancora davvero parte del patrimonio culturale e dunque dall’identità di molti italo/americani. A questo si aggiunge il vero e proprio gap culturale che si è aperto negli anni tra l’esperienza italiana e quella italo/americana. Il risultato è che un complesso alternarsi di amore-odio-indifferenza nei contronti del proprio passato pesa sugli italiani da entrambe le sponde dell’oceano.
Ma visto da New York il film-documentario di Norelli ci ha fatto sorgere innanzitutto domande che riguardano gli italiani in Italia. Quanti di loro sanno che le vittime del più grande linciaggio degli Stati Uniti, nella New orleans del 1891, erano italiani? Quanti sanno che gli italiani, alla fine dell’ottocento, per così dire rimpiazzarono nelle piantagioni gli schiavi neri emancipatisi? E che venivano definiti “un popolo di mezzo” – insomma né bianchi né neri? Quanti italiani conoscono l’ondata di razzismo anti-italiano che si era diffusa anche tra gli opinionisti americani? Si raccontavano gli italiani come un’incontrollabile orda... Quanti sanno delle vicende degli operai italiani che lavoravano in condizioni durissime, dei loro scioperi e delle loro lotte, della ventata anarchica, e del complesso impegno sindacale – sia tra gli operai che, segnatamente, tra le operaie? E poi, cosa si sa o si studia, degli italiani dichiarati “stranieri nemici” durante la seconda Guerra mondiale, internati e separati dai componenti americani delle loro famiglie?
Proprio perché pochi sanno, è importante che questo film presenti i commenti di studiosi come Nunzio Pernicone, Fred Gardaphè, Gerald Meyer, Mary Ann Trasciatti, Peter Vellon. I linciaggi, gli attentati anarchici, la tragedia del Triangle Strike in cui morirono 150 operaie, la vicenda di Sacco e Vanzetti, i campi di internamento durante la seconda guerra mondiale, le condizioni di vita, la religiosità, la lingua, l’americanzzazione. E poi le figure di Fiorello La Guardia, Vito Marcantonio, Carlo Tresca, Generoso Pope, Leonard Covello – tra i tanti italiani americani ricordati nel film.
Questi interrogativi sono già importanti in sé, ma lo diventano ancor di più alla luce delle nuove ondate migratorie, sia In America che in Italia. La consapevolezza del fatto che l’esperienza migratoria, direttamente o indirettamente, ha riguadato nel secolo scorso milioni di famiglie italiane è cruciale in un momento in cui flussi migratori si intrecciano su tutta la terra e l’Italia diventa per la prima volta un paese-meta.
E “Pane Amaro” dà un contributo in questa direzione, andando anche al di là del percorso storico che compie. È un invito a conoscere e riflettere per gli italiani in qualsiasi parte del mondo. Nel pubblico italiano/americano presente abbiamo colto una grande attenzione, commozione in certi momenti. In alcuni loro commenti e riflessioni si avvertiva il caro prezzo che hanno dovuto pagare gli italiani per integrarsi, evidente anche dopo generazioni. Il fatto che molti parlino solo inglese ha in questo caso un valore simbolico. Si ripercorre così la storia in pochi istanti. Prima di tutto la paura di parlare il dialetto dei loro nonni, poi l’ “ordine” di parlare solo inglese per non farsi riconoscere come enemy aliens, poi la perdita del contatto con l’Italia. Infine il ritrovamento e la ricerca sulle proprie radici.
Molti del pubblico hanno preso in mano il microfono per parlare. Si sono presentati così: Nome Cognome, seconda generazione. Nome Cognome, terza generazione… E sono soprattutto le giovani generazioni che oggi riscoprono la cultura, ed anche la lingua, italiana con grande curiosità. Ma capita ancora che, proprio come i loro coetanei italiani, pochi di loro conoscono la storia dell’emigrazione italiana in America. È paradossale, ma è così. Un vero e proprio lavoro di autocoscienza e riconoscimento delle proprie radici è ancora da compiere.
Trentanni fa lo scrittore Pietro di Donato, l’autore di Christ in Concrete, aveva pronosticato un “rinascimento” degli scrittori italoamericani. “Il nostro momento è ora. Lo vedo perchè non siete più i figli dei muratori, andate a scuola e siete bambini con dei cervelli”. Sono parole che, insieme alle immagini e ai racconti del film di Norelli, non possono che far riflettere nel 2008.
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borintykiewicz
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