Articles by: Cristina Fei

  • Arte e Cultura

    Tutti pazzi per la Campania. Tra cinema e turismo l’antidoto alla crisi economica

    Immaginate un castello medievale che sovrasta il golfo di Napoli. Immaginate archi, torri e un percorso di fiaccole in un’aria che sa di sale e di terra vulcanica. E poi uno stuolo di donne in abito lungo, eleganti e femminili, accompagnate da uomini fieri in cravatta e doppio petto. Non è il set di un film, ma la location da favola della terza edizione del Galà di cinema e fiction in Campania. E la fortezza di Castellammare di Stabia, costruita dal ducato di Sorrento nel 1086,
    per una sera ha ospitato chi di grande e piccolo schermo vive: attori, registi, produttori, sceneggiatori, critici e imprenditori. Con un trofeo che ha ben poco da invidiare all’Oscar sono stati premiati artisti di cinema, fiction, teatro, volti emergenti e operatori del settore impegnati nella promozione del territorio campano.
     

    Il giusto epilogo di un evento durato cinque giorni fra lezioni teoriche di sceneggiatura, laboratori, confronti e workshop. L’idea è nata dall’intuito della manager napoletana Valeria Della Rocca, direttore generale dell’agenzia Solaria Service, in collaborazione con la Film Commission Regione Campania e la direzione artistica del critico cinematografico Marco Spagnoli. Con un’attenzione ai nuovi trend, l’intento è di esaltare le eccellenze campane e ricordare come cinema, tv e turismo siano oggi un trinomio indissolubile. Perché ogni film ha il suo contesto e su quel luogo viene attratto un esercito di pellegrini come api sul miele.
     

    Smania di protagonismo o fascino della tradizione? Visitare i posti immortalati in un frame è ormai una vera e propria moda. E la Campania, viste le recenti produzioni, è in pole position.

    Così nel fam tour  nel cuore della città si scoprono i luoghi nascosti della Hollywood made in Italy: la piazza del Plebiscito dove è stato girato il film “Lo spazio bianco” con Margherita Buy, il Palazzo Reale set della fiction “Giuseppe Moscati” con Beppe Fiorello. E ancora la chiesa del Pio Monte della Misericordia ripresa nel film “Passione” di John Turturro, piazza del Gesù, Spaccanapoli, ma anche Forcella con la pizzeria “da Michele” in cui Julia Roberts  in “Eat, pray and love” cede al peccato di una fumante margherita. E infine la Reggia di Caserta, scelta dal regista George Lucas per i primi episodi di Star Wars o da Ron Howard per “Angeli e demoni”. Senza dimenticare le bellezze del cilento di “Benvenuti al Sud”, commedia ironica con Claudio Bisio che appena uscita ha già sbancato al box office o la splendida Acciaroli nel film “Noi credevamo” di Mario Martone presentato quest’anno alla mostra del cinema di Venezia.
     

    La Campania, un quadro dipinto con il blu del mare, il giallo del sole e dei limoni. Ma anche fucina di giovani menti creative. E’ questo il senso del “Picthing”. Guidati dal direttore artistico Marco Spagnoli, gli studenti della facoltà di Scienze della Comunicazione presso l’Università napoletana Suor Orsola Benincasa hanno proposto le loro idee di sceneggiature a una giuria di professionisti: Daniele Cesarano, presidente dell’Associazione degli Sceneggiatori di Cinema e Televisione, il giornalista Enrico Magrelli, vicedirettore del Festival di Bari, selezionatore della Mostra del Cinema di Venezia e conservatore della Cineteca Nazionale, Riccardo Grandi regista del film “Tutto l’amore del mondo”.
     

    E quando la fantasia di uno script incontra i numeri del mercato ne emerge una tavola rotonda sul futuro dell’industria dell’entertainment in tempi di crisi economica, sul product placement e il tax-credit. Ecco la chiave di svolta: puntare sulla valorizzazione del territorio attraverso l’audiovisivo. In fondo il cinema non è solo una fabbrica di sogni, ma un’azienda che macina soldi.
     

    PREMI DEL GALA’:

    - Miglior film realizzato in Campania: l’Amore Buio di Antonio Capuano

    - Migliore fiction: Tutti Pazzi per Amore scritta da Ivan Cotroneo

    - Migliori attori: Gianfelice Imparato (Into paradiso)e Sergio Assisi (Mannaggia alla Miseria)

    - Migliori attrici: Veronica Mazza (La valigia sul letto) e Gabriella Pession (Mannaggia alla Miseria)

    - Premio Speciale per l’eccellenza artistica Gianfelice Imparato

    - Premio Speciale per l'eccellenza imprenditoriale femminile nel cinema e nella televisione alla produttrice Ida di Benedetto

    - Premio Speciale Attore di Televisione: Antonio Cupo

    - Premio Speciale Regista dell’Anno: Alessandro D’Alatri (Sul Mare)

    - Premio Speciale Attore di Cinema dell’anno: Francesco Scianna (Baaria, Vallanzasca)

    - Premio Speciale Attore di Cinema emergente: Dario Castiglio (Sul Mare)

    - Premio Speciale Attrice di Cinema emergente: Miryam Catania (Tutto l’amore del mondo)

    - Premio Speciale al Documentario dell’anno Passione di John Turturro all’ideatore del progetto e produttore Carlo Macchitella

    - Premio Speciale per la Promozione dell’immagine della Campania nel mondo al produttore esecutivo Marco Valerio Pugini per Eat, Pray, Love – Angeli & Demoni.

    - Premio Speciale per la Promozione del Cinema e della Fiction italiani alla Universal Pictures Italia e al suo Amministratore Delegato David Moscato

    - Premio Speciale Televisione & Teatro: Sebastiano Somma

    - Premio Speciale Cinema & Teatro: Tosca D’Aquino

    - 12° Premio Speciale Sceneggiatore dell’anno: Ivan Cotroneo

    - Premio Speciale Società di produzione dell’anno: Luca Argentero per Cattleya

  • Arte e Cultura

    "Che barba, che noia! Sempre io e te, tu ed io..." Sandra Mondaini torna dal suo Raimondo


    “Che noia, che barba. Che barba, che noia!” E già, Sandra era proprio stufa di continuare a recitare sul palcoscenico della vita senza il suo Raimondo. Niente era più come cinque mesi fa. Quando la sua spalla comica, il suo confidente, il suo amico e amante per cinquant’anni è andato via facendo da apripista. Forse l’ha raggiunto in un comodo lettone lì, sulle nuvole, a brontolare come di consueto in “Casa Vianello”. A scalciare sotto le lenzuola mentre il marito complice col sorriso beffardo fa capolino da un giornale.


    Nell’immaginario collettivo era la coppia perfetta: sempre insieme davanti e dietro i riflettori. Sempre mano nella mano anche quando la malattia aveva costretto Sandra a stare su una sedia a rotelle. Inferma, ma mai vittima. Ormai anziana, ma mai triste. E col sarcasmo di chi ha calcato le scene di un pezzo di storia della televisione italiana, quella donna “tutta pepe” è entrata nelle case dei suoi spettatori. In punta di piedi. Era una di famiglia, lei. L’emblema della moglie devota e un po’ rompiscatole che trattiene le briglie del consorte pronto a scalpitare per signorine più giovani, nella fiction. Il simbolo di una routine coniugale fatta di simpatici battibecchi e tanta tenerezza, in privato.


    Caschetto liscio biondo, occhiali vintage per nascondere con lenti scure e sfumate uno sguardo arguto color smeraldo. Zigomi alti e fieri sopra una bocca disegnata di rosso. Sandra si fa notare molto presto dal jet set debuttando a soli 18 anni al Teatro Olimpia di Milano nella commedia "Ghe pensi mi" di Marcello Marchesi, con Tino Scotti e Franca Rame. Approda al cinema all’inizio degli anni Cinquanta, ma è il piccolo schermo a consacrare il suo successo. Nel 1954, primo giorno delle trasmissioni Rai, Sandra è nel programma “Settenote” subito dopo la famosa video sigla.



    Con i ruoli buffi Sandra si avvicina anche al mondo dei bambini. Dall’avanspettacolo trae il personaggio di Cutolina a cui aggiunge quello di Pinuccia nel programma “Fortunatissimo” condotto da Mike Bongiorno. Attrice con Renato Rascel, soubrette, valletta nei primi quiz televisivi, volto delle pubblicità di Carosello. Nel ’58 conosce Raimondo con il quale esordisce a teatro in “Sayonara Butterfly”, parodia dell'opera di Giacomo Puccini.


    Nel 1961 Sandra incanta tutti con la sua brillante ironia nella conduzione di "Canzonissima": lei e Paolo Poli sono i "bambini terribili" Filiberto e Arabella in sketch esilaranti. Ma è nel ‘64 che Sandra collauda in pubblico le sue gag matrimoniali al fianco di Corrado nel programma “La trottola”.




    Cavalca l’onda dei gloriosi anni Sessanta, alternandosi fra cinema, tv, teatro e varietà radiofonici. La Mondaini colpisce con la lama della satira i vizi e le virtù della gente, dissacra con una risata i grandi nomi del tubo catodico ancora in bianco e nero. E fa divertire: questo è il suo mestiere, questa è la sua natura. Non risparmia una parodia alla mitica Mina, un amichevole sberleffo anche per la Carrà.





    Affina il suo estro con artisti come Walter Chiari e Pippo Baudo e consolida il sodalizio con il marito Raimondo. I due funzionano a tal punto da essere inseparabili, nella vita come in telecamera.

    Chi ricorda gli anni Settanta non può dimenticare lo spettacolo “Noi... no!” dove Sandra incide la sigla del programma “Ma quant'è forte Tarzan”.




    Comica al punto giusto senza essere ridicola Sandra veste i panni di Sbirulino, il clown con naso rosso che ricalca il pagliaccio Scaramacai interpretato dall’attrice Pinuccia Nava. Con il viso coperto di trucco bianco, un papillon e una bombetta sulla testa la Mondaini tira fuori la sua vena infantile e conquista il cuore di adulti e piccoli con quella vocina flebile e adorabile dell’innocenza.




    E che sia uno scherzo del fato o semplice fiuto per l’audience, nel 1977 la coppia Sandra-Raimondo trova la sua collocazione ideale nel varietà abbinato alla Lotteria di Capodanno “Io e la Befana” con scenette umoristiche che fanno presagire la svolta, il preludio della stravincente formula “Casa Vianello”.




    Bisogna attendere infatti la fine degli anni Ottanta per vedere sui canali della tv commerciale della Fininvest la sit-com più popolare e longeva della storia della televisione italiana: per ben 16 serie e un totale di 343 episodi, la signora e il signor Mondaini aprono le porte della loro casa-set a tutti gli italiani. Che per oltre vent’anni sbirciano nella quotidianità domestica dei due attori, tanto bravi da sembrare reali, tanto professionali da non distinguere il confine fra verità e fiction.


    Erano loro ogni sera a dare la buona notte agli spettatori, a ironizzare sulle vicissitudini di una giornata bizzarra. A far sapere alla gente che dopo tutto ciò che conta è addormentarsi con la persona amata.  





    E allora buona notte, Sandra e Raimondo, riposate in pace. Questa volta siamo noi a rimboccarvi le coperte.



  • Life & People

    Growing Up with Sanremo


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    SANREMO - "Come to the table everybody, dinner's ready!". That evening, the usual dinner call from my mom had a special meaning. We were in the 1980's and my family and I would gather in front of the TV to watch the Sanremo Festival. All of us watched the same program in religious silence for that one only night. Just like in the ‘50s when there were very few TVs in Italy and members of different families gathered in the living room of the few that could afford to buy one. Enchanted by the lights of the screen, all of them stared at that one channel in black and white.


    On January 28 1955, 10:45 pm, eight million people were waiting for the first edition of the Festival to be broadcast on TV right after the end of the variety show "Un, Due, Tre" with Tognazzi and Vianello. It was an exceptional event. In fact the very first edition of the Festival in 1951 went on air on the radio, on Rete Rossa, as a form of entertainment for the gamblers playing in the casino of the city of Sanremo. At that time, an admission ticket for the Festival Room of the Casino would cost 500 Italian lire, and allowed them to listen to the twenty songs in competition sung by three and only three singers: Nilla Pizzi, Achille Togliani and the Fasano duette.

     
    Festival of Sanremo (1954 - 1955 - 1956 - 1958)


    My first memories of the Festival trace back to 1984. Although the artists sang in playback, I- just a kid at the time - couldn’t care the list. More than anything else, I was fascinated by the luminous set, the long stairways on the sides of the stage and the colourful flowers on the front. The newly weds Romina and Albano won with the song "Ci sarà". That was also the first time that the Festival was broadcast in the United States, thanks to a radio network in New York: the INC.

     
     From 1986 on, singers were asked to play live again. I remember it well because of the rough voice of Loredana Bertè. Her aggressive look scared me a little. In a tight short black dress, high heels and studded jacket, Bertè was a real provoker: she performed with the song "Re", pretending to be pregnant.


    It was nothing compared to the scandal provoked a few years later by a shoulder pad flipping out of a dress and the naked breast of the international guest star Patsy Kensit, leader of the Eight Wonder music group. And then there was “Etienne” by the French artist Guesh Patti, filled with explicit sexual references…


    Do you believe that when I was a child Anna Oxa's bony face, her funny hairstyle and her skinny body, were enough to scare me easily? I used to listen to her songs covering my eyes with my hands.


    In the ‘80s the Festival's set design was very dark, blue and green were the dominant colours. Colour was a privilege given to TV audience only from 1977 on, the same year when the show was hosted for the first time at the Ariston theatre.
     
     
     

    Loredana Bertè, "Re" (1985)


    Very soon the Festival crossed space and time boundaries. The first “historical” host, Nunzio Filogamo, knew it very well: every night he started the show with his famous “My dear friends near and far, good evening, wherever you are”. It was an invitation to the audience to feel part of a common Italian tradition, in any place and any moment.

     
    The Festival belongs to the culture of the Bel Paese, it portrays its social evolution, and mirrors its recent history.  In Primary School I used to dance the song “Papaveri e papere” with my pals. I didn’t know that the song, in 1952, was considered a political anthem of the Italian Communist Party: the poppies were the leaders of the Christian Democratic Party; the ducks were the people. Someone else said the joyful refrain was instead a way to ridicule women’s role at that time. 

     
     Nilla Pizzi and Mina in "Papaveri e Papere"


     

    During the ‘70s the Festival dictated fashion as well: the “bushy” hairstyle of Marcella Bella, participating with her “Montagne Verdi”, became a mania among girls. Not to mention the sexy miniskirt Sabrina Salerno and Jo Squillo wore in 1991 when they presented their “Siamo donne”.

     

     

    As I grew up, the Festival changed little by little. But it still was an appointment I couldn't miss. I liked music more and more, the audience loved the singers. Vasco Rossi was a rock icon, a rock that was very different from Adriano Celentano's rock’n’roll in “24mila baci”. In the '90s new talents populated the music scene: Andrea Bocelli, Giorgia, Laura Pausini, were some of them.


     
     

    Giorgia, "Come Saprei" (1995)

     

    Since I love music just as much as I love writing, I had a dream: one day I would become an on-field reporter in Sanremo.

    Ten years later I was there, walking down the streets of the town. It smelled of tulips, sunflowers, roses and orchids. With a notepad in my pocket and a video camera in my hands, I wanted to capture the most significant moments of the Festival. I was one among hundreds of journalists but, most of all, on that February afternoon of 2006 I was in the famous Ariston Theatre, watching the reharsals of the singers.


    I was sitting in front of the stage. The same one where hosts Pippo Baudo and Mike Bongiorno presented the singers time ago... the same that saw icons such as Domenico Modugno, Claudio Villa, Luigi Tenco, Mina and Giorgio Gaber performing for the Italian public. As I was listening to the orchestra playing, the music went straight to my stomach, then to my heart. I cried. I was overwelmed with emotions. they were too strong to be buried insied: too great to be described in words.

     
    After sixty years the Festival seems to have lost its meaning, genuineness, its essence of magical appointment that used to be waited for every year by the ears and eyes of Italian people

     
    In 2010 people need to forget their daily worries. That’s why, already after the second night of the Festival. the audience knew by heart the theme of “Malamorenò” by Arisa and whistled it. A nice 28 year old girl, she is not too cute, and looks almost like a cartoon, with her big eyeglasses and big red lips. She tries to be ironic about the future singing “The sun might explode, everything might end, everything but love”. She sings with the "Marinetti sisters", three men dressed like a woman. They reminded me of the Sorelle Bandiera (Tito Leduc, Neil Hansen and Mauro Bronchi), a comic trio that was very popular on TV during the '70s.

     
     

    Sanremo Winners  (1997-2007)

     
    We miss Modugno's performance of “Nel blu dipinto di blu” in 1958, when the audience accompanied the music by tapping their feet on the floor. We also miss his great success “Piove”, better known as “Ciao amore ciao”. He was inspired to write it during his tour in America, when he saw the farewell of two lovers in the station of Pittsburg.


    Nowadays the songs’ lyrics talk about corruption, euthanasia, unemployment and economic crisis. “Lucky us that have Carla Bruni”, sings Simone Cristicchi in his song. He criticizes Italy, portraying it as a country where people don’t care for being informed on what is happening around them: gossip is all that really matters, because at least it makes people smile.

     
    I regret the old times. Especially when I see on TV a grotesque trio such as the one composed by Pupo, tenor Luca Canonici and  Emanuele Filiberto di Savoia, the Savoia dinasty’s heir. That dynasty was sent to exil Italy became a Republic in 1947 and could come back only after more than fifty years.



     
     Pupo, Emanuele Filiberto and Luca Canonici in "Italia Amore Mio"


    Blond hair, blue eyes. Though he’s not in tights and he doesn’t ride a white horse, prince Emanuele Filiberto drives teenagers crazy. Last year he won the Italian edition of “Dancing with the stars”; this year he competes in the Sanremo Festival. He can’t sing, but he acts like a rockstar. He’s there for a reason. He’s popular, very popular.

     
    The jury eliminates him, the audience at home votes to bring him back in competition. People at the Ariston Theatre stand up angry, they are against the result. The musicians in the orchestra rebel by throwing their music papers away. What a chaos. And the prince sings “I’m here to tell the world and God, Italy you’re my love!”.


    This Festival offered nothing of good quality. The prince is too busy flattering our country, another young singer is the bad clone of Freddy Mercury. The winner is Valerio Scanu, he comes from a talent show.


    What happened to the Italian tradition? Who knows what Nunzio Filogamo would say on the 60th Anniversary of the Festival. Maybe he would sigh disappointed: “My dear friends, near and far…this is your Italy!”




    Valerio Scanu, Winner of the 2010 edition of the Festival of Sanremo





    Festival of Sanremo - The Winners (1951-2010)



    EDITION SONG SINGER
         
    1951 Grazie dei fiori Nilla Pizzi
    1952 Vola colomba Nilla Pizzi
    1953 Viale d'autunno Carla Boni e Flo Sandon's
    1954 Tutte le mamme Gino Latilla e Giorgio Consolini
    1955 Buongiorno tristezza Claudio Villa e Tullio Pane
    1956 Apri le finestre Franca Raimondi
    1957 Corde della mia chitarra Claudio Villa e Nunzio Gallo
    1958 Nel blu dipinto di blu Domenico Modugno e Johnny Dorelli
    1959 Piove Domenico Modugno e Johnny Dorelli
    1960 Romantica Tony Dallara e Renato Rascel
    1961 Al di là Betty Curtis e Luciano Tajoli
    1962 Addio...addio! Domenico Modugno e Claudio Villa
    1963 Uno per tutte Tony Renis e Emilio Pericoli
    1964 Non ho l'età Gigliola Cinquetti - Patricia Carli
    1965 Se piangi se ridi Bobby Solo e i Minstrels
    1966 Dio come ti amo Domenico Modugno e Gigliola Cinquetti
    1967 Non pensare a me Iva Zanicchi e Claudio Villa
    1968 Canzone per te Sergio Endrigo e Roberto Carlos
    1969 Zingara Bobby Solo e Iva Zanicchi
    1970 Chi non lavora non fa l'amore Adriano Celentano e Claudia Mori
    1971 Il cuore è uno zingaro Nada e Nicola Di Bari
    1972 I giorni dell'arcobaleno Nicola Di Bari
    1973 Un grande amore niente di più Peppino Di Capri
    1974 Ciao cara come stai? Iva Zanicchi
    1975 Ragazza del Sud Gilda
    1976 Non lo faccio più Peppino Di Capri
    1977 Bella da morire Homo Sapiens
    1978 E dirsi ciao Matia Bazar
    1979 Amare Mino Vergnaghi
    1980 Solo noi Toto Cutugno
    1981 Per Elisa Alice
    1982 Storie di tutti i giorni Riccardo Fogli
    1983 Sarà quel che sarà Tiziana Rivale
    1984 Ci sarà Al Bano e Romina Power
    1985 Se m'innamoro Ricchi e Poveri
    1986 Adesso tu Eros Ramazzotti
    1987 Si può dare di più Tozzi-Ruggeri-Morandi
    1988 Perdere l'amore Massimo Ranieri
    1989 Ti lascerò Fausto Leali e Anna Oxa
    1990 Uomini soli Pooh - Dee Dee Bridgewater
    1991 Se stiamo insieme Riccardo Cocciante - Sarah Jane Morris
    1992 Portami a ballare Luca Barbarossa
    1993 Mistero Enrico Ruggeri
    1994 Passerà Aleandro Baldi
    1995 Come saprei Giorgia
    1996 Vorrei incontrarti fra cent'anni Ron e Tosca
    1997 Fiumi di parole Jalisse
    1998 Senza te o con te Annalisa Minetti
    1999 Senza pietà Anna Oxa
    2000 Sentimento Piccola Orchestra Avion Travel
    2001 Luce Elisa
    2002 Messaggio d'amore Matia Bazar
    2003 Per dire di no Alexia
    2004 L'uomo volante Marco Masini
    2005 Angelo Francesco Renga
    2006 Vorrei avere il becco Povia
    2007 Ti regalerò una rosa Simone Cristicchi
    2008 Colpo di fulmine Giò Di Tonno e Lola Ponce
    2009 La forza mia Marco Carta
    2010 Per tutte le volte che Valerio Scanu



  • Insomma dov’è finita la tradizione italiana? E l'Italia?


    SANREMO – “A tavola, la cena è pronta!”. Quella sera il rituale richiamo di mia madre aveva un sapore speciale. Erano gli anni Ottanta quando io e la mia famiglia ci riunivamo davanti alla tv per vedere il Festival di Sanremo. Per una sera eravamo tutti spettatori di uno stesso programma, in religioso silenzio. Come quando con la nascita della televisione italiana negli anni Cinquanta un intero condominio si radunava a casa di chi poteva permettersi l’acquisto di un televisore, all’epoca molto costoso. E incantati dalle luci dello schermo tutti guardavano quell’unico canale in bianco e nero.

     
    Alle 22.45 del 27 gennaio 1955 c’erano otto milioni di persone ad attendere il primo Festival trasmesso contemporaneamente anche dalla televisione dopo i titoli di coda del varietà di Tognazzi e Vianello "Un, Due, Tre". Un evento eccezionale visto che la prima vera edizione della kermesse canora nel 1951 andò in onda in radio, su Rete Rossa, per tenere compagnia ai giocatori d’azzardo. Costava 500 lire il biglietto d’ingresso del Salone delle Feste del Casinò di Sanremo e tra una scommessa e l’altra, il pubblico ascoltava le venti canzoni in gara eseguite da soli tre cantanti: Nilla Pizzi, Achille Togliani e il Duo Fasano.


     
     4a 5a 6a 8a EDIZIONE (edition IV-VIII)

    1954 - 1955 - 1956 - 1958


     
    1984. I miei primi frammenti di memoria del Festival. Gli artisti cantavano in playback totale ma a me, ancora bambina, poco importava. Ero affascinata dalla scenografia luminosa, dalle lunghe scalinate laterali del palco e dai fiori colorati. Romina e Albano, giovani e innamorati, vinsero con “Ci sarà”. Era anche la prima volta che il Festival veniva trasmesso in diretta negli Stati Uniti, grazie a una rete radiofonica di New York: la INC.

     
    Nel 1986 si tornava a cantare dal vivo. Lo ricordo bene perché la voce graffiante di Loredana Bertè e il suo look aggressivo un po’ mi inquietavano. In abito corto e aderente, tacchi a spillo e giacca borchiata, la Bertè non rinunciava alle provocazioni: si esibiva con la canzone “Re” indossando un finto pancione.

     
    Nulla in confronto allo scandalo che suscitarono un paio di anni più tardi il salto di spallina e il seno nudo dell’ospite internazionale Patsy Kensit, cantante degli Eight Wonder e il brano Etienne, della francese Guesh Patti con un testo pieno di espliciti riferimenti sessuali.

     
    E pensare che da piccola bastavano il viso scavato di Anna Oxa, le pettinature ingessate dalla lacca e il suo fisico scheletrico ad urtare la mia sensibilità. M’impaurivo e ascoltavo l’audio coprendomi gli occhi. Inoltre negli anni Ottanta le scenografie dei Festival erano molto scure, dominavano il blu e il verde. Il colore, un privilegio concesso ai telespettatori solo dal 1977 quando il Festival abbandonò il bianco e nero e venne trasmesso per la prima volta dal teatro Ariston.

     
    Ben presto la Festa della Canzone superò i confini di spazio e tempo. Lo sapeva bene il primo e storico conduttore Nunzio Filogamo che apriva le serate del Festival con il consueto saluto “Miei cari amici vicini e lontani, buonasera ovunque voi siate”. Un invito a sentirsi parte della tradizione italiana, in qualunque posto e in qualunque momento.

     
    Già, la tradizione. Perché  il Festival ha scritto le pagine della cultura del Bel Paese, ne ha fotografato l’evoluzione sociale, ha scandito gli eventi. Alle elementari ballavo insieme ai miei compagni di scuola “Papaveri e papere”. Non potevo sapere che quel brano, cantato nel 1952 da Nilla Pizzi, fu accusato di essere un inno politico del Partito comunista italiano: i “papaveri alti alti” erano i dirigenti della Democrazia Cristiana, le papere il popolo. C’è chi disse invece che quel motivetto allegro voleva ironizzare sulla condizione femminile del tempo.

     
    Il Festival degli anni Settanta arrivò persino a dettare le mode: l’acconciatura a cespuglio di Marcella Bella che esordì con “Montagne verdi” divenne una mania fra le adolescenti. Per non parlare delle minigonne mozzafiato di Sabrina Salerno e Jo Squillo, in coppia nel 1991 con “Siamo donne”.

     
    Crescevo, il Festival cambiava. Ma restava un appuntamento da non perdere. Mi piaceva la musica sempre di più, il pubblico si affezionava ai cantanti. Vasco Rossi diventava un icona del rock, ben diverso dal rock’n’ roll dei “24 mila baci” di Adriano Celentano.
    Negli anni Novanta il panorama musicale si arricchiva di nuovi talenti: Andrea Bocelli, Giorgia, Laura Pausini.

     
    Adoravo la musica sì, ma altrettanto forte era il mio amore per la scrittura. Da qui nacque il mio sogno nel cassetto: un giorno sarei stata un’inviata a Sanremo.
    Dieci anni più tardi ero lì. Percorrevo quelle strade che odoravano di tulipani, girasoli, rose, orchidee. Nella tasca un taccuino, nelle mani una videocamera per catturare ogni istante. Ero fra centinaia di giornalisti in sala stampa. Ma soprattutto quel pomeriggio di febbraio del 2006 ero nel teatro Ariston ad assistere alle prove della finale.

     
    Davanti a me il palco calcato da Pippo Baudo e Mike Bongiorno. Quello su cui si erano esibiti Domenico Modugno, Claudio Villa, Luigi Tenco, Mina e Giorgio Gaber. Davanti a me l’orchestra che suonava dal vivo. La musica mi arrivava dritta allo stomaco e poi al cuore fino a farmi commuovere. Un’emozione troppo grande da contenere, troppo forte da raccontare.
    A distanza di sessant’anni il Festival, ormai adulto come un padre, sembra aver perso il senno, la genuinità, la magia di una tradizione che passa per le orecchie, lo sguardo e s’imprime sulla pelle. Quella degli italiani.

     
    Oggi, nel 2010, c’è bisogno di dimenticare i problemi quotidiani. E il pubblico fischietta già alla seconda serata il ritornello di una delle canzoni in gara, “Malamorenò” di Arisa. Una simpatica ventottenne, un po’ bruttina, simile a un cartone animato. Con occhiali enormi e labbra rosso fuoco, sdrammatizza sul futuro. Perché in fondo “Può scoppiare in un attimo il sole, tutto quanto potrebbe finire, ma l’amore, ma l’amore no!”. E per non farsi mancare niente Arisa si fa accompagnare dalle sorelle Marinetti, tre coristi uomini vestiti da donne. Un chiaro riferimento alle Sorelle Bandiera (Tito Leduc, Neil Hansen e Mauro Bronchi), il trio comico e musicale di travestiti che spopolavano sul piccolo schermo negli anni Settanta.
    Sono finiti i tempi di Modugno, quando nel 1958 la platea batteva i piedi a ritmo di “Nel blu dipinto di blu”. E quando un anno dopo la sua “Piove” conosciuta come “Ciao amore ciao” divenne un tormentone. Scritta quasi per caso durante la sua tournèe in America, nella stazione di Pittsburg dopo aver visto l’addio disperato tra due fidanzati.

     
    Tra le note oggi si parla di corruzione, insoddisfazione, di disoccupazione e crisi mondiale. “Meno male che c’è Carla Bruni” recita la canzone di Simone Cristicchi. Una voce controcorrente che elenca i difetti e non le virtù di un’Italia in balia della mala informazione. Dove ciò che conta è il gossip. Perché alla fine fa sorridere.

     
    E ci ritroviamo in gara un terzetto pittoresco composto da Pupo, il tenore Luca Canonici ed Emanuele Filiberto di Savoia, erede della dinastia cacciata dall’Italia con l’istituzione della Repubblica e poi tornata dopo più di mezzo secolo. A quanto pare il principe biondo, occhi azzurri, ma senza calzamaglia né cavallo bianco conquista le fanciulle e sbaraglia i palinsesti. Vincitore dell’ultima edizione del programma “Ballando con le stelle”, sbarca persino al Festival di Sanremo. Non sa cantare, ma impugna l’asta del microfono come una rockstar. Messo lì non a caso. E’ popolare, è ormai un personaggio.

     
    Corsi e ricorsi storici, che strano scherzo del destino! La giuria lo elimina, il televoto da casa lo salva. Il teatro Ariston fischia, urla. L’orchestra si ribella al giudizio e lancia gli spartiti in segno di protesta. E’ caos. Graziato tra finalisti colui che canta “Sono qui, per dire al mondo e a Dio, Italia amore mio”.

     
    Non c’è dubbio, sono i numeri dell’Auditel a trionfare, non la qualità. E tra le ruffianate di chi inneggia alla patria e l’imitazione mal riuscita di un divino Freddy Mercury, la spunta Valerio Scanu, nuova scoperta di un talent show.

     

    Insomma dov’è finita la tradizione italiana? Chissà cosa direbbe Nunzio Filogamo in occasione del sessantesimo anniversario. Forse sospirerebbe deluso: “Miei cari amici vicini e lontani…questa è l’Italia!”.

  • Crescendo con Sanremo. Cosa rimane della tradizione?


    SANREMO – “A tavola, la cena è pronta!”. Quella sera il rituale richiamo di mia madre aveva un sapore speciale. Erano gli anni Ottanta quando io e la mia famiglia ci riunivamo davanti alla tv per vedere il Festival di Sanremo. Per una sera eravamo tutti spettatori di uno stesso programma, in religioso silenzio. Come quando con la nascita della televisione italiana negli anni Cinquanta un intero condominio si radunava a casa di chi poteva permettersi l’acquisto di un televisore, all’epoca molto costoso. E incantati dalle luci dello schermo tutti guardavano quell’unico canale in bianco e nero.


    Alle 22.45 del 27 gennaio 1955 c’erano otto milioni di persone ad attendere il primo Festival trasmesso contemporaneamente anche dalla TV dopo i titoli di coda del varietà di Tognazzi e Vianello "Un, Due, Tre". Un evento eccezionale visto che la prima vera edizione della kermesse canora nel 1951 andò in onda in radio, su Rete Rossa, per tenere compagnia ai giocatori d’azzardo. Costava 500 lire il biglietto d’ingresso del Salone delle Feste del Casinò di Sanremo e tra una scommessa e l’altra, il pubblico ascoltava le venti canzoni in gara eseguite da soli tre cantanti: Nilla Pizzi, Achille Togliani e il Duo Fasano.

     
    Festival di Sanremo (1954 - 1955 - 1956 - 1958)


    1984. I miei primi frammenti di memoria del Festival. Gli artisti cantavano in playback totale ma a me, ancora bambina, poco importava. Ero affascinata dalla scenografia luminosa, dalle lunghe scalinate laterali del palco e dai fiori colorati. Romina e Albano, giovani e innamorati, vinsero con “Ci sarà”. Era anche la prima volta che il Festival veniva trasmesso in diretta negli Stati Uniti, grazie a una rete radiofonica di New York: la INC.

     
    Nel 1986 si tornava a cantare dal vivo. Lo ricordo bene perché la voce graffiante di Loredana Bertè e il suo look aggressivo un po’ mi inquietavano. In abito corto e aderente, tacchi a spillo e giacca borchiata, la Bertè non rinunciava alle provocazioni: si esibiva con la canzone “Re” indossando un finto pancione.

     
    Nulla in confronto allo scandalo che suscitarono un paio di anni più tardi il salto di spallina e il seno nudo dell’ospite internazionale Patsy Kensit, cantante degli Eight Wonder e il brano Etienne, della francese Guesh Patti con un testo pieno di espliciti riferimenti sessuali.

     
    E pensare che da piccola bastavano il viso scavato di Anna Oxa, le pettinature ingessate dalla lacca e il suo fisico scheletrico ad urtare la mia sensibilità. M’impaurivo e ascoltavo l’audio coprendomi gli occhi. Inoltre negli anni Ottanta le scenografie dei Festival erano molto scure, dominavano il blu e il verde. Il colore, un privilegio concesso ai telespettatori solo dal 1977 quando il Festival abbandonò il bianco e nero e venne trasmesso per la prima volta dal teatro Ariston.
     
     

    Loredana Bertè, "Re" (1985)


    Ben presto la Festa della Canzone superò i confini di spazio e tempo. Lo sapeva bene il primo e storico conduttore Nunzio Filogamo che apriva le serate del Festival con il consueto saluto “Miei cari amici vicini e lontani, buonasera ovunque voi siate”. Un invito a sentirsi parte della tradizione italiana, in qualunque posto e in qualunque momento.

     
    Già, la tradizione. Perché  il Festival ha scritto le pagine della cultura del Bel Paese, ne ha fotografato l’evoluzione sociale, ha scandito gli eventi. Alle elementari ballavo insieme ai miei compagni di scuola “Papaveri e papere”. Non potevo sapere che quel brano, cantato nel 1952 da Nilla Pizzi, fu accusato di essere un inno di propaganda politica del Partito comunista italiano: i “papaveri alti alti” erano i dirigenti della Democrazia Cristiana, le papere il popolo. C’è chi disse invece che quel motivetto allegro voleva ironizzare sulla condizione femminile del tempo.

     
     Nilla Pizzi and Mina in "Papaveri e Papere"




    Il Festival degli anni Settanta arrivò persino a dettare le mode: l’acconciatura a cespuglio di Marcella Bella, che esordì con “Montagne verdi”, divenne una mania fra le adolescenti. Per non parlare delle minigonne mozzafiato di Sabrina Salerno e Jo Squillo, in coppia nel 1991 con “Siamo donne”.

     

    Crescevo, il Festival cambiava. Ma restava un appuntamento da non perdere. La musica mi piaceva sempre di più, il pubblico si affezionava ai cantanti. Vasco Rossi diventava un icona del rock, ben diverso dal rock’n’ roll dei “24 mila baci” di Adriano Celentano.

     
    Negli anni Novanta il panorama musicale si arricchiva di nuovi talenti: Andrea Bocelli, Giorgia, Laura Pausini.

     
     

    Giorgia, "Come Saprei" (1995)

     
    Adoravo la musica sì, ma altrettanto forte era il mio amore per la scrittura. Da qui nacque il mio sogno nel cassetto: un giorno sarei stata un’inviata a Sanremo.
    Dieci anni più tardi ero lì. Giravo per le strade che odoravano di tulipani, girasoli, rose, orchidee. Nella tasca un taccuino, nelle mani una video camera per catturare ogni istante. Ero fra centinaia di giornalisti in sala stampa.
    Davanti a me il palco calcato da Pippo Baudo e Mike Bongiorno. Quello su cui si erano esibiti Domenico Modugno, Claudio Villa, Luigi Tenco, Mina e Giorgio Gaber. Davanti a me l’orchestra che suonava dal vivo. La musica mi arrivava dritta allo stomaco e poi al cuore fino a farmi commuovere. Un’emozione troppo grande da contenere, troppo forte da raccontare.

     
    A distanza di sessant’anni il Festival, ormai adulto come un padre, sembra aver perso il senno, la genuinità, la magia di una tradizione che passa per le orecchie, lo sguardo e s’imprime sulla pelle. Quella degli italiani.

     
    Oggi, nel 2010, c’è bisogno di dimenticare i problemi quotidiani. E il pubblico fischietta già alla seconda serata il ritornello di una delle canzoni in gara, “Malamorenò” di Arisa. Una simpatica ventottenne, un po’ bruttina, che somiglia a un cartone animato. Con occhiali enormi e labbra rosso fuoco, sdrammatizza sul futuro. Perché in fondo “Può scoppiare in un attimo il sole, tutto quanto potrebbe finire, ma l’amore, ma l’amore no!”. Per non farsi mancare niente Arisa si fa accompagnare dalle sorelle Marinetti, tre coristi uomini vestiti da donne. Un chiaro riferimento alle Sorelle Bandiera (Tito Leduc, Neil Hansen e Mauro Bronchi), il trio comico e musicale di travestiti che spopolavano sul piccolo schermo negli anni Settanta.

     
     

      Vincitori di Sanremo 1997-2007

     
    Sono finiti i tempi di Modugno, quando nel 1958 la platea batteva i piedi a ritmo di “Nel blu dipinto di blu”. E quando un anno dopo la sua “Piove” conosciuta come “Ciao amore ciao” divenne un tormentone. Fu scritta quasi per caso durante la sua tournèe in America, nella stazione di Pittsburg dopo aver visto l’addio disperato tra due fidanzati.
    Tra le note oggi si parla di corruzione, eutanasia, di disoccupazione e crisi mondiale. “Meno male che c’è Carla Bruni” recita la canzone di Simone Cristicchi. Una voce controcorrente che elenca i difetti e non le virtù di un’Italia in balia della mala informazione. Dove ciò che conta è il gossip, perché alla fine fa sorridere.

     
    E ci ritroviamo in gara un terzetto pittoresco composto da Pupo, il tenore Luca Canonici ed Emanuele Filiberto di Savoia, erede della dinastia cacciata dall’Italia con l’istituzione della Repubblica e poi tornata dopo più di mezzo secolo. A quanto pare il principe biondo, occhi azzurri, ma senza calzamaglia né cavallo bianco conquista le fanciulle e domina i palinsesti.


     

     Pupo, Emanuele Filiberto and Luca Canonici in "Italia Amore Mio"




    Vincitore dell’ultima edizione del programma “Ballando con le stelle”, sbarca persino al Festival di Sanremo. Non sa cantare, ma impugna l’asta del microfono come una rockstar. Messo lì non a caso. E’ popolare, è ormai un personaggio.

     

    Corsi e ricorsi storici, che strano scherzo del destino! La giuria lo elimina, il televoto da casa lo salva.

    La gente nel teatro Ariston fischia, urla e si alza in piedi. L’orchestra si ribella al giudizio, lanciando gli spartiti in segno di protesta

    . E’ caos. Graziato tra finalisti colui che canta “Sono qui, per dire al mondo e a Dio, Italia amore mio”.

     

    Non c’è dubbio, sono i numeri dell’Auditel a trionfare, non la qualità. E tra le ruffianate di chi inneggia alla patria e l’imitazione mal riuscita di un divino Freddy Mercury, la spunta Valerio Scanu, nuova scoperta di un talent show.



    Il suo brano “Per tutte le volte che” si classifica al primo posto.



     

    Insomma dov’è finita la tradizione italiana? Chissà cosa direbbe Nunzio Filogamo in occasione del sessantesimo anniversario. Forse sospirerebbe deluso: “Miei cari amici vicini e lontani…questa è l’Italia!”.


    Valerio Scanu, Vincitore dell'edizione 2010 del Festival di Sanremo



    Festival di Sanremo - I vincitori (1951-2010)



    ANNO TESTO CANTANTE
         
    1951 Grazie dei fiori Nilla Pizzi
    1952 Vola colomba Nilla Pizzi
    1953 Viale d'autunno Carla Boni e Flo Sandon's
    1954 Tutte le mamme Gino Latilla e Giorgio Consolini
    1955 Buongiorno tristezza Claudio Villa e Tullio Pane
    1956 Apri le finestre Franca Raimondi
    1957 Corde della mia chitarra Claudio Villa e Nunzio Gallo
    1958 Nel blu dipinto di blu Domenico Modugno e Johnny Dorelli
    1959 Piove Domenico Modugno e Johnny Dorelli
    1960 Romantica Tony Dallara e Renato Rascel
    1961 Al di là Betty Curtis e Luciano Tajoli
    1962 Addio...addio! Domenico Modugno e Claudio Villa
    1963 Uno per tutte Tony Renis e Emilio Pericoli
    1964 Non ho l'età Gigliola Cinquetti - Patricia Carli
    1965 Se piangi se ridi Bobby Solo e i Minstrels
    1966 Dio come ti amo Domenico Modugno e Gigliola Cinquetti
    1967 Non pensare a me Iva Zanicchi e Claudio Villa
    1968 Canzone per te Sergio Endrigo e Roberto Carlos
    1969 Zingara Bobby Solo e Iva Zanicchi
    1970 Chi non lavora non fa l'amore Adriano Celentano e Claudia Mori
    1971 Il cuore è uno zingaro Nada e Nicola Di Bari
    1972 I giorni dell'arcobaleno Nicola Di Bari
    1973 Un grande amore niente di più Peppino Di Capri
    1974 Ciao cara come stai? Iva Zanicchi
    1975 Ragazza del Sud Gilda
    1976 Non lo faccio più Peppino Di Capri
    1977 Bella da morire Homo Sapiens
    1978 E dirsi ciao Matia Bazar
    1979 Amare Mino Vergnaghi
    1980 Solo noi Toto Cutugno
    1981 Per Elisa Alice
    1982 Storie di tutti i giorni Riccardo Fogli
    1983 Sarà quel che sarà Tiziana Rivale
    1984 Ci sarà Al Bano e Romina Power
    1985 Se m'innamoro Ricchi e Poveri
    1986 Adesso tu Eros Ramazzotti
    1987 Si può dare di più Tozzi-Ruggeri-Morandi
    1988 Perdere l'amore Massimo Ranieri
    1989 Ti lascerò Fausto Leali e Anna Oxa
    1990 Uomini soli Pooh - Dee Dee Bridgewater
    1991 Se stiamo insieme Riccardo Cocciante - Sarah Jane Morris
    1992 Portami a ballare Luca Barbarossa
    1993 Mistero Enrico Ruggeri
    1994 Passerà Aleandro Baldi
    1995 Come saprei Giorgia
    1996 Vorrei incontrarti fra cent'anni Ron e Tosca
    1997 Fiumi di parole Jalisse
    1998 Senza te o con te Annalisa Minetti
    1999 Senza pietà Anna Oxa
    2000 Sentimento Piccola Orchestra Avion Travel
    2001 Luce Elisa
    2002 Messaggio d'amore Matia Bazar
    2003 Per dire di no Alexia
    2004 L'uomo volante Marco Masini
    2005 Angelo Francesco Renga
    2006 Vorrei avere il becco Povia
    2007 Ti regalerò una rosa Simone Cristicchi
    2008 Colpo di fulmine Giò Di Tonno e Lola Ponce
    2009 La forza mia Marco Carta
    2010 Per tutte le volte che Valerio Scanu





  • Tra le star del David di Donatello

    Giovane e attraente, dai lineamenti scuri e tipicamente mediterranei. Smoking d’alta moda e scarpe lucidissime. Timido davanti ai riflettori delle telecamere, ma con le idee ben chiare e con la voglia di farsi sentire. Uno spirito romano e ribelle come i suoi ricci che non riesce a domare a colpi di spazzola. Non è l’identikit del principe azzurro, ma il profilo del miglior regista nella 53esima edizione dei premi David di Donatello 2009, assegnati dall’Accademia del cinema italiano.

    A quarant’anni Matteo Garrone conquista pubblico e critica con il suo film Gomorra, tratto dal romanzo-inchiesta di Roberto Saviano, e su 11 nomination si aggiudica ben sette statuette: per il miglior film, migliore regia e migliore sceneggiatura, miglior produttore, canzone originale, montaggio e fonico. E’ da questo successo che forse il cinema italiano prende la spinta per ripartire.  

    Appuntamento l’8 maggio all’Auditorium della Conciliazione a Roma. Ci sono proprio tutti. Gli attori famosi e quelli emergenti, registi, produttori e modelle. Presenti all’appello anche le starlette di turno che si accompagnano ai nomi che contano. C’è persino chi ha interpretato solo piccoli camei o chi si fa vedere per promuovere le fiction di prossima uscita sul piccolo schermo.

    Il jet set italiano schierato al completo per la fatidica passerella sul red carpet, da attraversare rigorosamente con incedere armonico ed elegante. Fermandosi al momento giusto per le foto, ammiccando ai giornalisti curiosi e sempre ben attenti a rilasciare interviste alle tv e radio più note.

    Quasi come se per una sera la Capitale, all’ombra della cupola di San Pietro, diventasse la Hollywood del Bel Paese. A farla da padrone nella sfilata vip è l’abito lungo, indossato dalla maggior parte delle signore. Una lotta al capo firmato più glamour. Oltre al nero classico molto gettonati i colori bianco panna, celeste pastello o verde acqua. Scollature profonde, ma femminili e capelli raccolti come le dame dell’Ottocento.

    Chi invece vuole stupire (in altri termini chi non vuole passare inosservata) osa con minigonne cortissime di paillettes argentate. In fondo, come insegna il re della pop art Andy Warhol, tutti hanno diritto a quindici minuti di celebrità! E per non farsi mancare nulla ad accogliere gli invitati l’ente organizzatore ha piazzato una hostess vestita da Jessica Rabbit che distribuisce cioccolata. Meglio addolcirsi la bocca prima di iniziare perché qualche candidato di sicuro il dente avvelenato ce l’ha.

    La sensazione è che i due colossi in concorso, Gomorra di Matteo Garrone e Il Divo di Paolo Sorrentino, già reduci dalla vittoria rispettivamente del Gran Prix e del premio di giuria al Festival di Cannes 2008, daranno filo da torcere.

    Previsione azzeccata, perché il bel Garrone e il napoletano Sorrentino monopolizzano la scena. Trionfano le storie vere, quelle attuali. Vince il racconto-denuncia, la rappresentazione della nostra realtà, nuda e cruda. Lo sa bene il regista di Gomorra che, con l’aiuto dell’autore Roberto Saviano, ha accettato la scommessa di portare al cinema il ritratto della Napoli contemporanea. Solare, ma difficile.

    Allegra eppure prigioniera di un sistema chiamato “camorra”. Ecco cos’è Gomorra: un viaggio tra i vicoli del quartiere Scampia alla scoperta degli inciuci del mondo affaristico e criminale. Uno sguardo sui volti degli abitanti del posto, vittime o carnefici.

    E questo film per il regista Matteo Garrone ha anche un valore affettivo perché sul set, un anno fa, ha conosciuto la sua attuale compagna e madre di suo figlio. A questo punto poco importa se Gomorra è stato escluso dalla gara degli Oscar o se si sia lasciato sfuggire il Golden Globe a Los Angeles, la rivincita arriva giocando in casa con un premio made in Italy da condividere…