L’AQUILA – E’ uscito di recente, pubblicato da REA Edizioni (L’Aquila, 2015), un interessante volumetto di 118 pagine curato dall’anglista Emanuela Medoro: “Mario Fratti fra italiano e inglese”, un mini laboratorio sulla ricerca linguistica del grande drammaturgo italo-americano, nato a L’Aquila, che dal 1963 vive a New York. Il volume, in formato digitale (€ 2,99 e-book), è acquistabile sulle maggiori agenzie di vendita on line, mentre in formato cartaceo si può richiedere direttamente all’editore (www.reamultimedia.it -
[email protected]). Il lavoro della Medoro non ha la pretesa d’essere un Saggio linguistico tout court. Piuttosto vuole offrire solo un esempio di come Mario Fratti abbia dedicato una particolare attenzione alla ricerca del linguaggio, attingendo in modo certosino da svariate fonti e, più assiduamente, da quella giornalistica.
“L’Inglese non è la prima lingua di Mario Fratti - scrive Emanuela Medoro nell’introduzione al volume -, è una lingua presa in prestito in età adulta, cui ha dedicato attenzione e cure documentate da una ampia raccolta di frasi, prese prevalentemente dal New York Times, ma anche da romanzi e testi teatrali. Una decina di grossi quaderni, manoscritti sempre con lo stesso ordine, con una grafia ordinata e sistematica sono il risultato di questa paziente ricerca portata avanti con passione nel corso degli anni vissuti a New York. A proposito di questa attività di ricerca M. Fratti dice: «L’Inglese non è la mia prima lingua. Ho cominciato a scrivere in Inglese cinquant’anni fa. Durante la mia lunga carriera ho trovato che ci sono molte espressioni o modi di dire in Inglese che, a causa della unicità del loro costrutto, non saranno mai facilmente usate da quelli la cui prima lingua non è l’Inglese. Per far sì che le traduzioni in Inglese dei miei lavori suonassero più autenticamente “Inglese” (o Inglese-Americano), ho dato la caccia ed ho collezionato molte frasi Inglesi, costrutti grammaticali, che sono in qualche modo così idiomatiche che non saranno mai ovvie per i traduttori la cui prima lingua è diversa dall’Inglese. La raccolta è durata circa quarant’anni.» In prima lettura la raccolta si presenta come una massa caotica di frasi ritagliate da contesti diversi, l’alto mare aperto dell’inglese, la realtà infinita ed inafferrabile per non nativi della lingua parlata e scritta dalle persone colte, che comunicano in modo pieno e idiomatico. Attraverso queste frasi il lettore può compiere un viaggio affascinante che esplora usi e abitudini americane nello spazio dell’isola di Manhattan, può entrare nel cuore di New York.”
“Ho notato particolare interesse - aggiunge Emanuela Medoro - per frasi che toccano i temi ricorrenti nell’opera di Mario Fratti drammaturgo: persone e atteggiamenti, idee e sentimenti, conflitti, bugie e inganni, relazioni sociali, il lavoro e gli affari, vincitori e vinti, la politica, lo spettacolo. Questi concetti sono diventati le aree tematiche che raggruppano le frasi della raccolta seguente. Da notare che non sempre è stata facile l’attribuzione di una frase all’una o all’altra area, accade che alcune frasi siano inserite perché interessanti dal punto di vista linguistico, anche se non precisamente appartenenti al tema del gruppo. È bene notare che questa raccolta di frasi, pur spaziando all’interno della lingua inglese, idiomatica, parlata e scritta dalle persone colte, non va letta come un dizionario che illumina i significati e gli usi più comuni delle parole e delle combinazioni di esse. Invece essa acquista significato come un capitolo, invero molto singolare, dell’opera complessiva di Mario Fratti, poeta, drammaturgo ed anche filologo. Infine sottolineo che, poiché manca il contesto da cui sono ritagliate le frasi, le mie traduzioni sono solo delle proposte e spero di aver centrato il loro significato fondamentale e più usato.”
Ho accolto volentieri l’invito dell’autrice a scrivere la Prefazione al suo libro. Qui di seguito la riporto, magari può essere minimamente utile a trarre un’idea del buon lavoro di Emanuela Medoro, linguista, ma anche giornalista di talento.
Scrivo volentieri questa breve presentazione al prezioso lavoro di Emanuela Medoro. Un piccolo esempio del fecondo giacimento linguistico raccolto dal drammaturgo Mario Fratti nelle quotidiane letture di giornali - in primis il New York Times - e riviste americane, annotando con cura certosina frasi idiomatiche della lingua inglese, non altrimenti reperibili. In oltre cinquant’anni di vita culturale nella Grande Mela - dove era giunto nel 1963 per una sua opera messa in scena da Lee Strasberg, poi per insegnare alla Columbia University e all’Hunter College, quindi per un’intensa attività drammaturgica - Mario Fratti rivela, con questa curiosità d’indagine sulla qualità della lingua inglese, una passione che va ben oltre l’interesse verso un idioma. Una lingua, l’inglese, che in più occasioni ha dichiarato d’amare, esaltandone l’efficacia e la spigliatezza.
D’altronde, la sua stessa capacità d’armeggiarla in maniera brillante nella sua produzione di commedie e drammi teatrali è la rappresentazione icastica che la padronanza di quella lingua è diventata così forte patrimonio, al pari dell’italiano, da avergli conquistato l’ammirazione degli americani per il suo teatro. Asciutto, tagliente, imprevedibile il suo teatro, dove la costruzione letteraria e drammaturgica è talmente aderente al costume e alle abitudini di quel popolo da avergli procurato apprezzamenti e successi talvolta ben più significativi di quelli che gli americani hanno riservato a giganti della loro drammaturgia, quali Tennessee Williams, Arthur Miller, Thornton Wilder, Edward Albee, Eugene O’ Neil.
E la cifra del successo di Fratti sta proprio nella sua capacità di scrivere teatro con un fraseggio dialogico che non ricorre a fronzoli, a giri di parole, ma è diretto, penetrante, fulminante, quando con finali del tutto inattesi e sconcertanti riesce sempre a stupire. Eppure, alla straordinaria fecondità della produzione teatrale, il drammaturgo aquilano, ormai trapiantato a New York, ha coltivato un insospettato interesse filologico, un’attenzione alle qualità e alle raffinatezze della lingua inglese, da portarlo ad annotare con regolarità e passione frasi e locuzioni singolari, con il relativo significato in italiano, che hanno riempito una mole impressionante di pagine di quaderni.
In questo pelago di ricchezze idiomatiche si è avventurata Emanuela Medoro. Non senza qualche incertezza e dubbio, all’inizio, se non altro per la difficoltà d’operare una selezione tra tanta disponibilità. Se posso fare un’annotazione personale, io l’ho certamente incoraggiata in questa iniziativa. Per almeno tre ragioni. Non posso osare nel riconoscerne un valore filologico, non avendo la necessaria conoscenza dell’inglese per dare questo giudizio. Eppure questa potrebbe essere una prima ragione. La seconda è quella di mostrare, di Mario Fratti, un interesse spinto fino alla scoperta d’ogni dettaglio della caratura idiomatica d’una lingua, che peraltro passa per l’essere semplice e stringata. La terza ragione credo di significarla nel rilevante valore di quest’accurata documentazione linguistica di Mario Fratti, che immagino non abbia precedenti.
Mi spingo a ritenere che tale mole di patrimonio idiomatico sia anche il modo di certificare, attraverso la singolare e duttile modularità del fraseggio, l’anima profonda d’un popolo, e l’indole, che traspare dalla fioritura della sua parola. Fratti l’ha rinvenuta ed archiviata meticolosamente nei suoi quaderni, l’anima del popolo americano, dentro la ricchezza linguistica magari difficile da trovare in letteratura e che invece è rinvenibile nella lingua quotidiana, che sia di strada o delle élite culturali, riportata nelle pagine dei giornali.
Qui sta anche la preziosità di questa piccola opera d’arte di Emanuela Medoro. Non era e non è intenzione dell’autrice dare senso esaustivo a questa iniziativa di documentazione sull’opera del nostro insigne concittadino. Al più, vuole tentare di dare solo saggio del rilevante cespite linguistico accumulato da Mario Fratti, sottoponendo ai lettori desiderosi di scoprire la lingua degli americani un esempio della ricchezza espressiva, che è anche sintomo della cultura d’un popolo. Una piccola ma significativa selezione espunta da una dotazione rilevante di locuzioni, che ad altri - linguisti, filologi ed accademici - potrebbe interessare compiutamente per studio e trattazione. Resta sicuramente illuminante la doviziosa curiosità che alimenta l’intensa vita culturale del nostro concittadino Mario Fratti. Che ci fosse noto come uno degli autori di teatro più grandi e famosi nel mondo, è del tutto acclarato. Mentre è per noi sicuramente una sorpresa scoprirlo nell’inconsueto sconfinamento: un Fratti così particolare ed imprevedibile anche nel campo della ricerca filologica, come solo il suo teatro poteva averci abituato.
Mario Fratti, professore emerito presso l’Hunter College, è un drammaturgo e critico teatrale di fama internazionale. Autore di oltre ottanta opere per il teatro, commedie e drammi, tradotte in una ventina di lingue e rappresentate in seicento teatri di tutto il mondo, è meglio conosciuto per il suo musical Nine (ispirato dal famoso film di Fellini, 8 e mezzo), che nella sua produzione originale del 1982 ed in quelle successive ha vinto numerosi premi, tra cui 7 Tony Award, che per il teatro è come l’oscar per il cinema. Mario Fratti è nato a L’Aquila il 5 luglio 1927. Vive a New York dal 1963. Oltre ai suoi scritti drammaturgici, di recente Fratti ha pubblicato il romanzo “Diario proibito” (Graus Editore, Napoli 2013), ambientato nella sua città natale, e la silloge poetica “Volti” (Edizioni Tracce, Pescara 2014). Scrive note di critica teatrale per America Oggi, il più diffuso quotidiano italiano negli Stati Uniti, e per nove giornali europei.