Incontro il giornalista Andrea, figlio di Nedo Fiano, uno dei pochissimi italiani sopravvissuti ad Auschwitz, con un’immagine ben precisa in mente. Proviene dalle parole di un’intervista letta qualche tempo fa in cui si raccontava del bambino Nedo che, all’improvviso, non può andare più a scuola, perchè le leggi italiane glielo impediscono. L’immagine di un bambino che nel 1938 perde il diritto all’istruzione, e insieme il diritto a giocare con tutti i suoi coetanei italiani che non vogliono o non possono frequentarlo più. Deve frequentare classi organizzate dalla comunità ebraica.
Il mio colloquio con Andrea Fiano ha così seguito un filo immaginario: davanti a me Nedo ragazzo, Andrea ragazzo e poi oggi Talia, la figlia adolescente di Andrea.
“Essere figlio di un sopravvissuto ad Auschwitz vuol dire crescere con dei grandi quesiti che con il tempo ho risolto, ma che in parte rimangono. Riguardano quello che è successo, e perché è successo alla mia e ad altre famiglie. Perché ci sono nonni, zii, cugini che non ho mai visto.” Nella memoria di Andrea in particolare un episodio che può aver coinciso con la presa di coscienza del bambino Andrea.
“Mi ricordo che una volta, alle elementari, andammo a fare un coro in una casa per anziani e vidi una specie di lapide. Mi convinsi, a torto, che venisse citato il nome di una mia nonna. Mi emozionai, mi misi a piangere, la maestra mi calmò. Avrò avuto 8 anni.
Era una vita diversa per un bambino, voleva dire non avere parenti da una parte della famiglia e avere un padre un po’ particolare. Un padre che non era proprio un padre come quello degli altri e tante situazioni da vivere con emozioni molto forti.”
E Andrea descrive quei giorni: “Stiamo parlando di un Italia in cui la storia di mio padre era un fatto rarissimo, anche per la per la comunità ebraica. Sono state deportati poco più di 8.000 ebrei, ne sono tornati qualche centianio, ora ce ne sono poco più di 100 ancora vivi. Era un fatto raro di cui non si parlava tanto, per molti era lontano o vicino, a seconda dellla sensibilità, ma io ce l’avevo in casa. Sono cresciuto chiedendo molto poco; fino alla mia adolescenza, non ricordo di avere mai avuto amici che fossero figli di deportati e di non aver mai condiviso la mia storia.”
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Parla del padre Nedo con affetto, e al tempo stesso un rigore quasi giornalistico: “Lui non raccontava, ha cominicato negli ultimi 20 anni. Ho avuto la fortuna di crescere con una figura paterna ottimista, tutt’altro che astiosa. E’ tornato in Germania già negli anni ’70, per lavoro, vestito per bene, in un posto dove era stato schiavo solo venti, quindici anni prima. A casa mia c’è sempre stato un messaggio di ottimismo sulla natura umana accanto ad un’impostazione chiaramente antifascista.”
Nedo Fiano da diversi anni porta instancabilmente la sua testimonianza in giro per l’Italia: “Lo ha fatto in piu di 700 posti tra scuole, circoli, chiese. Credo che lo abbia sentito come un dovere, ad un certo punto ha cominciato a scrivere dei raccontini e poi dopo a parlarne.” Il modo di testimonirare che ha scelto è diverso, e per questo lo avvicina molto alle giovani generazioni. Non racconta solo la sua storia tragica, ma parla di libertà, democrazia, attualizza. Cerca di far capire che spesso si danno troppo per scontati diritti conquistati con grandi battaglie.
Ma la sua nipote “americana”, la figlia di Andrea, come vive l’esperienza del nonno? E la giornata della memoria?
”Bisogna dire che per chi ha una famiglia con delle storie così, non c’è bisogno di una data specifica. Mi ricordo una volta, a scuola, le fu chiesto di scegliere un eroe di cui parlare. Lei scelse il nonno, mentre un ragazzino di origine tedesca optò per uno zio pilota della Lutwaffe. Lei si alzò e disse: ma questo non è un eroe, lo sapete cosa hanno fatto i tedeschi durante la Guerra? Fa parte del suo DNA, in lei c’è rispetto, solidarietà ma anche grande consapevolezza. Non ha letto il libro del nonno solo per un problema linguistico, lo farà”.
La storia della sua famiglia influenza fortemente la coscienza sociale di Andrea, il suo essere cittadino; la sua sensibità ai fenomini di razzismo, discriminazione è molto spiccata. “Ricordo qualche anno fa una cena in Italia con degli amici d’infanzia in un ristorante sul mare. As un certo punto una persona ha cominciato a fare dei commenti molto razzisti su dei filippini. Io dissi: adesso o la smetti o me ne vado. Rimasero tutti stupiti dalla mia reazione. Mia moglie stessa non capiva. Putroppo la situazione oggi è molto peggiorata, Non è facile capire come comportarsi.”
Cosa vuol dire la giornata memoria per Andrea? “Come ricorda Primo Levi: ogni popolo che dimentica il suo passato è destinato a riviverlo! Non so se sia cosi, ma è importante ragionare, conoscere la nostra storia come italiani, come ebrei. L’idea di fermarsi per un giorno simbolicamente, e riflettere, mi sembra fondamentale. La lettura dei nomi delle vittime a Park Avenue, davanti alla sede del Consolato Generale d’Italia, è importante, ed il fatto che la radio del New York Times l’anno scorso abbia detto ‘se vedete il traffico che rallenta è perché stanno leggendo i nomi dei deportati’ ha avuto un grande significato per me. è un omaggio al ricordo di queste persone, ma non solo, va anche detto che questo ricordo non è limitato ai parenti di quelle vittime che non hanno bisogno di una data precisa. Goccia a goccia si ricostruisce anche grazie a questa ricorrenza un passato fatto di tante persone venute negli USA per sfuggire dal fascismo, e non solo dalle persecuzioni razziali.”
L’anno scorso, come tanti, ho partecipato anch’io alla lettura di questi nomi. Si susseguivano lenti come piccole onde sulla riva di una spiaggia. Ripeterli nel silenzio, solcato solo dal rumore delle macchine e di passi sul marciapiede, scava nel profondo del nostro essere umani. Lo stesso cognome ripetuto anche piu di una decina di volte.
Nuclei familiari interamente sterminati. Si lascia quel piccolo podio, allestito davanti il Consolato, con il cuore in gola.
Si tratta di un omaggio che supera il valore simbolico e i-Italy non poteva non dare il proprio contributo. Ecco dunque questo numero speciale che avete davanti. Dedicato a quell’immagine di Nedo Fiano bambino, privato del diritto di essere bambino. E di tutti i bambini che in ogni parte del mondo, ancora oggi, sono vittime di discriminazioni e violenze razziali. Nello stesso giorno in cui un uomo di pelle nera presta giuramento come presidente degli Stati Uniti d’America, questo messaggio—qui da New York—acquista un’attualità tutta particolare.