Siamo andati per toccare con mano il fenomeno Jovanotti, ma neanche due ore e mezza di concerto tiratissimo (e sudatissimo, come loro malgrado hanno appreso gli spettatori delle prime file) sono riuscite a svelare il mistero di Lorenzo Cherubini, sbarcato a New York per conquistare l’esigente pubblico della Grande Mela nel giugno scorso.
Accompagnato da un’ottima band internazionale arricchita dalla presenza del grande Mauro Pagani, il Cherubini, nel suo concerto sold out di giovedi scorso al Joe’s Pub, ha sciorinato il consueto repertorio funk-pop che ne ha decretato il successo in Italia, accolto con entusiasmo travolgente dal pubblico prevalentemente italiano, che ha cantato a squarciagola i cavalli di battaglia del repertorio jovanottiano e ballato a ritmo di dervisci per tutta la durata dell’esibizione.
Tutto bene allora ? Dipende. Se consideriamo infatti le numerose esibizioni tenute dal nostro in vari locali della Grande Mela, tra cui lo Zebulon, il Joe’s Pub ed il Nublu (tutte “venue” di grande nome e richiamo ad onor del vero), ed il notevole riscontro di pubblico ottenuto, dovremmo concludere che la “residence” newyorkese del Cherubini e’ stata un successo foriero di sicuri sviluppi artistici e professionali negli USA.
Se tuttavia ci limitiamo a considerare la composizione degli spettatori, ci accorgiamo che in gran parte il pubblico jovanottesco a New York è composto da italiani, prevalentemente espatriati e certamente familiari con la produzione del nostro. Come fai a dirlo ? vi starete chiedendo. Semplice: sembrava di essere ad un concerto di Baglioni, con il pubblico che canta a squarciagola i pezzi più noti in un rito musicale che tanto ci ha ricordato le manifestazioni più nazional-popolari del Bel Paese. Insomma, per farla breve, se il Cherubini intendeva conquistare il pubblico americano ed internazionale di New York, dubitiamo che l’operazione possa definirsi riuscita.
E il concerto? ti è piaciuto sì o no? Dipende (aridanghete!) Ripeto, band ottima, repertorio così così, anzi direi proprio scadente. Un calderone funk sul quale il Cherubini declamava i suoi versi intervellati a grugniti e sguardi d’intesa con i suoi musicisti che tiravano come treni giapponesi. Nulla di nuovo sotto il sole. Lo faceva (meglio, molto meglio) James Brown 40 e passa anni fa (pregasi acquisire Live at the Apollo per credere). E le ballate? anche qui niente di nuovo. Testi melensi associati a melodie già sentite. Una melassa francamente difficile da digerire per il vostro cronista che in questi giorni sta ascoltando – scusate se e’ poco - Art Bears ed Henry Cow intervallandoli con Canzoniere del Lazio e l’Italian Doc Remix di Marco Cappelli, passando per l’ultimo di Bob Dylan ed un Amon Duul d’annata.
Già sento le vostre obiezioni: smettila con le tue pretese intellettualistiche!! Jovanotti è un grande e merita rispetto. Al che non possiamo far altro che replicare: è la mia opinione e la condivido (come diceva Coluche.....). Ma è veramente così? siamo davvero così convinti che Jovanotti non meriti attenzione e che il successo dell’autore de La Mia Moto sia frutto unicamente di un’attenta operazione di marketing costruita a tavolino a spese del popolo bue?? confessiamo che le nostre certezze hanno iniziato a vacillare nei mesi scorsi, complice l’operazione di sdoganamento del nostro avviata proprio qui a New York dagli impagabili Stefano Albertini ed Antonio Monda alla Casa Italiana della NYU. Nei mesi scorsi il Cherubini, oltre ad essere intervistato dai predetti alla Casa Italiana, è stato altresì ospite dell’Istituto Italiano di Cultura e del festival Open Roads in occasione della proiezione del film dedicato a Fabrizio De Andrè, sempre accolto da un pubblico numerosissimo e partecipe, quello stesso pubblico che ha assistito ai suoi concerti newyorkesi e che presumibilmente – per estrazione sociale ed esperienza di mondo – dovrebbe essere ingrado di discernere la bontà o meno di un prodotto musicale. Alcune settimane fa persino il cattivissimo Aldo Grasso sul Corriere ha decantato le doti del sellerone romano, soprendendoci anzichenò. Ma a scuotere le nostre consolidate certezze dalle fondamenta è stata infine la già menzionata partecipazione del grande Mauro Pagani a due dei suoi concerti newyorkesi. Ora, enorme è la nostra stima per Mauro Pagani, il precursore della World Music e l’autore di Creuza de Ma, l’album più bello ed importante nella storia della musica d’autore italiana secondo la critica nostrana.
Dopo aver visto Mauro Pagani sullo stesso palco del barbuto spilungone al Joe’s Pub, nell’entusiasmo del pubblico plaudente, confessiamo infatti di esserci sentiti come il tipo che guida contromano in autostrada e si stupisce del fatto che ci siano così tante automobili che vengono in senso contrario. Trent’anni di attento ed indefesso (poco inde e molto fesso, direte) ascolto di migliaia e migliaia di album, la puntuale lettura di gloriose riviste musicali come Mucchio Selvaggio, Blow Up, Rockerilla, Mojo, Musica Jazz, Uncut e chi più ne ha più ne metta, il tutto come un castello di carta che crolla miseramente con tutte le nostre aspettative ed illusioni. Insomma chi ha ragione? io, o tutti voi?? Dite, argomentate, intervenite.
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