Una volta si diceva che la fotografia rubasse l’anima alle cose e alle persone. Roberto De Paolis ci ruba l’anima e poi la restituisce al mondo.
Mercoledì prossimo, 27 Febbraio, alla Casa Italiana Zerilli Marimò della New York University inaugurerà la sua personale LIGHT ROOM (mostra curata da Raffaellla Guidobono) e grazie a una raccolta densa di lavori potremo condividere con il giovane fotografo romano l’affascinante immaginario. Sono immagini enigmatiche, contemplative dove soggetti eterei si sdoppiano, sospesi all’interno di una stanza, affacciati ad una finestra. Roberto De Paolis li ritrae, cogliendo l’impalpabile e l’inafferrabile e proiettandolo in visioni interiori che incantano, sublimando fisicità e corpo. Una sottile contemplazione aleggia tra il fotografo e il soggetto dell’opera. Silenziosamente le parti scambiano emozioni nascoste e dall’abisso dei pensieri qualcosa si libera e s’imprime leggero nella pellicola.
Lascio aperto l’otturatore della macchina fotografia per un tempo lungo, 60 secondi.
Il soggetto è li, davanti all’obiettivo. Poi si muove, non aspetta lo scatto. Questo fa si che rimanga solo una traccia della sua prima posizione e di quella assunta successivamente.
Tutto il resto della stanza è impresso nitidamente nella pellicola. Il soggetto invece si sdoppia assumendo le sembianze di un fantasma.
Il risultato è una successione di eventi nello stesso spazio e nello stesso fotogramma. Il soggetto diventa evanescente, in stato di mutazione, in bilico tra l’essere e il non essere fissato nella pellicola. Ciò che rimane è l’aurea di un gesto, un movimento, un’emozione.
E quando chiedo all’artista di spiegarmi come sceglie il soggetto della sua ricerca e che tipo di scambio-confronto emotivo cerca di instaurare lui mi risponde:
Più che scegliere un soggetto, spesso le situazioni si creano da sole. Magari sono a cena con un mio amico e parlando viene fuori qualcosa che riguarda la sua vita, un passaggio, uno stato mentale, qualcosa che in questo momento lo tocca o lo preoccupa e allora lavorando con le associazioni mentali viene fuori un immagine che rappresenta quel momento, quella cosa che avevamo individuato essere interessante. Il giorno dopo vado in studio e faccio la foto. Mi capita anche spesso di sognare le fotografie che farò, o il soggetto che fotograferò. Ci sono mille situazioni in cui nasce una fotografia. Ma la cosa più importante è la persona e quello che prova. Se c’è una persona che si apre e mi racconta veramente qualcosa della sua vita (e se io riesco ad ascoltare) viene sempre fuori una bellissima fotografia
E alla trasparenza dell’immagine Roberto De Paolis ne aggiunge un’altra. Stampa i ritratti fotografici su plexiglas trasparente creando in questo mondo un ulteriore livello di trasparenza. E questo vedere attraverso rivela aspetti inusuali del soggetto cogliendolo nella sua essenza. Un’alternanza di presenze e assenze, vuoti e pieni che avvolge lo spettatore in un immaginario misterioso, intimo che quasi intimorisce. E a questa mia osservazione l’artista aggiunge:
L’interpretazione della mia opera è ogni volta molto libera e soggettiva. Ognuno ha la capacità di vedere cose diverse. In fondo credo che l’interesse nell’arte nasca anche dal bisogno di ognuno di proiettare le cose della propria vita nell’opera stessa. Tutta l’industria del cinema si muove intorno al fatto che gli esseri umani hanno bisogno di identificarsi e di proiettare i propri sentimenti sullo schermo. A volte un’opera può non piacere perché spaventa e una può piacere perché rassicura, ma quanto ha a che vedere questo con il valore in sé dell’opera?
E l’opera di Roberto de Paolis acquista valore non soltanto per la dimensione intima e psicologia che riesce a trasmettere ma anche perché porta il delicato spazio interiore all’esterno, affacciandolo letteralmente alla finestra. In LIGHT BUILDING Roberto De Paolis installa i plexiglas sulle finestre del Palazzo Sora, sede dell’Istituto Scolastico Carlo Cattaneo. Ed è come se dalla facciata del palazzo ci fossero alcune persone idealmente affacciate sulla strada. Le foto sono retroilluminate dall’interno di ogni classe e interagiscono direttamente con la struttura architettonica ricoprendo la duplice valenza di fruizione pubblica e di rivalutazione di un luogo abbandonato o chiuso, come la scuola durante il periodo estivo.
Ho chiesto a Roberto cosa prova quando porta fuori e rende pubblico qualcosa che vive dentro come nel caso di LIGHT BUILDING:
Credo sia semplicemente la naturale conclusione del lavoro, il suo habitat finale. In ogni artista c’è la volontà di esporre una propria visione interna, nel mio caso credo che la connessione tra visione (creativa) interna e visione (pubblica) esterna sia estrema, nel senso che la prima prova a mettere in luce delle parti dell’io nascoste attingendo ad un immaginario privato, mentre la seconda è, alle finestre dei palazzi, una dimensione che rende le fotografie estremamente esposte e pubbliche
E il fatto di installare le fotografie alle finestre, ritrarre i suoi soggetti alla finestra è un motivo ricorrente nell’opera di Roberto De Paolis.
Per me le finestre sono importantissime, non solo nel lavoro, ma anche nella vita. È un’attrazione che potrebbe essere nata quando ero piccolo, ma non so. Tutti i quadri e tutte le fotografie e anche il cinema, in realtà, sono delle finestre. L’arte è appesa al muro, in fondo, è una finestra. Le finestre aprono all’osservazione di una realtà esterna (che forse si desidera?), i quadri, le foto e il cinema aprono alla trasfigurazione personale della realtà.
A Casa Zerilli Marimò potremo osservare una selezione fatta dal fotografo degli ultimi due anni di lavoro, le opere saranno installate nelle finestre e porte finestre interne o rivolte al cortile. Tra queste ci sarà Autoritratto, immagine significativa e simbolica del percorso dell’artista (scelta anche per l’invito alla mostra).
In un materasso poggiato a terra c’è Roberto assorto in se stesso, prima disteso e poi poggiato al muro.
L’autoritratto che verrà esposto nella mostra di Casa Zerilli Marimò fa parte di una serie. Penso che nell’autoritratto venga fuori la parte più spiritosa e autoironica del lavoro. L’altro giorno ho fatto una foto a me stesso che fotografava un altro me stesso che si era stufato di essere fotografato. Purtroppo non ho fatto in tempo a portarla a New York però è stato divertente scoprire come ci fosse, in effetti, una parte che forse non ha più voglia di fare foto, o di essere il soggetto degli autoritratti e che sembra annoiato e distante dalla dinamica-foto
Credo che l’autoritratto sia un modo di sdrammatizzare e prendersi un po’ in giro. Il primo autoritratto che ho fatto ritraeva un bicicletta e una spavalda parte di me che la guidava, mentre dietro c’era un me impaurito che impuntava i piedi a terra e non voleva andare, impaurito dal concetto di movimento e di spostamento.
(Pubblicato su Oggi7 il 24/2/2008)
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